Il Medio Oriente è una “bomba ad orologeria” che ogni tanto esplode in conflitti locali cruenti che interessano parti più o meno estese della regione. In questo periodo, oltre la Siria, sono attivi conflitti in Yemen e, anche se se ne parla poco, in Irak (per non parlare poi della situazione africana – Libia in primis)
di Ervino Filippi Gilli
NordEst – Il 10 giugno di cinquant’anni fa terminava quella guerra tra le truppe israeliane e quelle siriane, giordane ed egiziane note con il nome di Guerra dei Sei Giorni.
Questa guerra ha influenzato e tuttora influenza la stabilità politica dell’area: il fatto che Israele abbia conquistato il Sinai e la Striscia di Gaza all’Egitto, la Cisgiornania e Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria è certamente, nonostante gli accordi Israelo – Egiziani di Camp David, ancora fonte di attriti tra il mondo arabo e lo stato ebraico.
Prima dello scoppio della guerra la situazione geopolitica vedeva la presenza di truppe Onu lungo il Canale di Suez, militari dislocati dopo la crisi del 1956 quando la Francia e l’Inghilterra invasero la zona del canale allo scopo di mantenerlo transitabile. Nel maggio del 1967 il Cairo iniziò ad ammassare truppe al confine lungo il Sinai e, dopo aver espulso i militari ONU, chiuse gli stretti di Tiran sul Mar Rosso ovvero l’unica via per le navi israeliane per accedere al porto di Eliat.
Questa azione venne considerata da Israele come un atto di guerra; nel contempo Egitto e la Giordania firmarono un patto di mutua difesa. Il 5 giugno Israele iniziò l’Operazione Focus con un attacco aereo a sorpresa che distrusse a terra l’aviazione egiziana e contemporaneamente con gli attacchi di terra sbaragliò le difese egiziane; tra il 5 ed il 7 giugno fu anche la volta della conquista della Cisgiordania mentre la battaglia per il controllo delle alture del Golan durò dal 9 al 10 giugno.
Eroe della guerra fu il Ministro della Difesa Israeliano Moshe Dayan che guidò le truppe ad una schiacciante vittoria. Le conseguenze di questa guerra le viviamo anche oggi.
Nonostante la Risoluzione 242 dell’ONU che prevedeva, in cambio della restituzione dei territori occupati, una pace tra i belligeranti, si ottennero solo parziali e temporanee pacificazioni che sfociarono in ulteriori conflitti armati sia tradizionali che con forme diverse quali l’Intifada.
E’ evidente che le tensioni che viviamo anche in questi giorni hanno a che fare con ciò che successe cinquant’anni fa e con la mancata volontà di risoluzione del problema di fondo, ovvero la contemporanea esistenza e convivenza dello Stato di Israele e di quello Palestinese.