Si tratta del quarto decesso al San Martino di Belluno comunicato venerdì dall’Ulss Dolomiti (nella notte erano morti 3 ultraottantenni: due uomini e una donna). Il direttore delle Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità: “Non abbiamo raggiunto un vero e proprio picco. Abbiamo solo abbattuto i contagi con il ‘lockdown'”
NordEst (Adnkronos) – “Vediamo che c’è un trend alla decrescita nel numero dei casi se presentati per data di comparsa dei sintomi, ma il virus non sta scomparendo. Spesso si parla di nuovi contagi, ma si tratta in realtà di vecchie notifiche. Adesso è importante considerare la data della comparsa dei sintomi”. Lo ha detto Giovanni Rezza, direttore delle Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nella conferenza stampa all’Iss sull’emergenza coronavirus.
“Non raggiungeremo casi zero a maggio, il virus probabilmente continuerà a circolare, anche se a bassa intensità. Non abbiamo raggiunto un vero e proprio picco, non c’è una massa di popolazione che si è infettata sufficiente – ha precisato Rezza – Abbiamo solo abbattuto i contagi con il ‘lockdown’, ma la popolazione rimane ampiamente suscettibile e quello che è successo due mesi fa potrebbe riaccadere se non stiamo attenti”.
Rezza ha spiegato che “quello che non sappiamo bene riguarda gli ultimi contagi, quelli che sono avvenuti dopo il lockdown, dove sono avvenuti, perché e con quali modalità”. In questo senso i casi tra “gli operatori sanitari ci dicono molto, perché vuol dire che ci sono stati focolai ospedalieri, focolai a livello di Rsa (Residenze sanitarie assistenziali, ndr) e Ra (Residenze assistenziali, ndr)”.
“Le Rsa – ha evidenziato l’esperto – sono indicatori dell’epidemia, ma anche degli amplificatori. Nel senso che, quando vediamo un focolaio in una Rsa, vuol dire che in qualche modo in quella zona il virus sta circolando ed è stato introdotto all’interno di quella struttura”. Le strutture residenziali “sono degli indicatori di circolazione virale”, ha aggiunto Rezza, osservando che “nell’ultimo periodo molte ‘zone rosse’ sono nate intorno a focolai che erano sorti in Rsa”.
Oltre a quelli nati nelle residenze assistenziali, “probabilmente la gran parte degli altri contagi insorti dopo il lockdown sono stati contagi intra-familiari. Ci sono i tedeschi che fanno un ottimo contact tracing e hanno molte informazioni – oltre a erogare un’ottima assistenza ospedaliera e ad avere tantissimi posti in terapia intensiva – e che hanno indicato come la gran parte dei contagi avvenga all’interno delle famiglie e di strutture sanitarie, quindi da contatto ravvicinato”.
“Su questo c’è bisogno di maggiori informazioni – ha precisato – e credo che proprio il progetto di contact tracing che il presidente ha presentato l’altro giorno nel Comitato tecnico scientifico vada a cercare di recuperare anche questo gap”.
La situazione in Veneto
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Pubblicato da Luca Zaia su Venerdì 17 aprile 2020
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