Pur con tutte le difficoltà della congiuntura attuale, l’agricoltura e l’agroindustria stanno vivendo un processo di ridefinizione del proprio profilo imprenditoriale, della propria organizzazione, delle scelte strategiche, in un percorso sempre maggiormente strutturato.
Un processo che vede, da un lato, diminuire la platea imprenditoriale in modo più accelerato rispetto alla media delle imprese del Nord Est ma, dall’altro lato, evidenzia una progressiva strutturazione delle imprese, che consente e consentirà loro di accrescere la competitività, anche come crescente capacità di vendita sui mercati esteri.
Riguardo ai risultati presenti nel Rapporto, Carlo Crosara, Direttore Generale di FriulAdria, ha dichiarato: “Il brillante lavoro di ricerca svolto da Fondazione Nord Est con il sostegno della nostra banca evidenzia la solidità di un comparto che si è dimostrato tra i più innovativi e reattivi di fronte alla crisi. La filiera agroindustriale e alcuni settori produttivi come il vitivinicolo, il lattiero-caseario e l’ortofrutticolo rappresentano delle riconosciute eccellenze del Made in Italy. Si tratta di un mondo che negli ultimi anni ha registrato una significativa evoluzione dal punto di vista strutturale, organizzativo e commerciale. Grazie anche allo specifico know how del Gruppo Cariparma Crédit Agricole FriulAdria sta accompagnando lo sforzo delle imprese per diventare più competitive, come testimoniano gli oltre 200 milioni di euro erogati nel 2011 al settore”.
Agroindustria: meno imprese ma più strutturate – Agricoltura: meno imprese ma più concentrate.
Nel 2010, il settore agroindustriale contava nel Nord Est 5.259 imprese attive, pari al 6,8% dell’intero comparto manifatturiero nordestino e all’8,8% del settore agroindustriale italiano.
L’agroindustria nel Nord Est pesa per lo 0,8% sul totale delle imprese a Nord Est, ma costituisce una fetta importante sul piano nazionale: quasi il 9,0%.
Nel 2010 i dati del Censimento Generale dell’Agricoltura evidenziavano in Veneto la presenza di 120.735 aziende agricole e zootecniche, pari al 7,4% di quelle registrate a livello nazionale. Rispetto al 2000 si è registrata una riduzione di 57.699 aziende, pari al 32,3%.
Analizzando la variazione della dimensione media della SAU (superficie agricola utilizzata) tra il 2000 e il 2010 si osserva una crescita importante, pari al 40,6%, e corrispondente a una crescita dai 4,8 ettari medi nel 2000 ai 6,7 ettari medi nel 2010. In questi anni, quindi, si è registrato certamente un fenomeno di concentrazione delle aziende agricole che ha visto fuoriuscire dal mercato le realtà più piccole e lo sviluppo di imprese di dimensioni maggiori.
Export raddoppiato nell’arco di un decennio – Nel 2011 le esportazioni di prodotti del settore agroindustria partite da Nord Est sono state pari a circa 5,4 miliardi di euro, valore quasi doppio rispetto a quanto registrato nel 2000 e che fa attestare l’agroindustria al 7,7% del valore totale dell’export nel Triveneto.
Le esportazioni nordestine relative ai prodotti dell’industria alimentare e delle bevande sono dirette soprattutto verso i paesi dell’Unione europea a 27 (più del 70% dell’export).
Il settore agricolo nordestino nell’arco di un decennio (2000-2010) quasi raddoppia (+95,6%) il valore dell’export raggiungendo 1.500 milioni di Euro.
Il futuro – Avviare l’ammodernamento nelle strutture e nelle tecnologie per rendere l’impresa più efficiente e produttiva: questa la necessità rilevata da un’indagine esplorativa effettuata presso un gruppo selezionato di imprenditori agricoli del territorio, scelti in base alla loro dinamicità.
I principali mutamenti e le questioni di criticità aperte del settore agricolo: una forte discontinuità fra i titolari di impresa. Si sta assistendo nel mondo agricolo alla nascita di una nuova classe, non più di semplici contadini, ma di veri e propri imprenditori agricoli, in grado di accettare rischi, di aprirsi al mercato, di attivare investimenti, di adeguare le proprie imprese alle nuove esigenze competitive. Non si tratta solo di un cambiamento di categoria professionale, ma di un nuovo modo di fare impresa che porta il centro dell’attenzione dal prodotto al mercato, senza dimenticare la qualità e puntando su diversificazione e crescita del valore.
Passaggio generazionale e ruolo dei contributi per l’innovazione. Il mutamento in atto trova ragione anche nella possibilità da parte del mondo agricolo di disporre di contributi europei e regionali (in particolare il Piano di Sviluppo Rurale) per intraprendere strategie di innovazione che hanno contribuito ad ammodernare, anche tecnologicamente, le aziende e renderle più appetibili anche per le giovani generazioni. Si è assistito, complice anche la crisi, a un crescente interesse infatti dei giovani verso le imprese agricole. Si tratta spesso dei figli degli agricoltori che avevano intrapreso percorsi di formazione collaterali (agronomo, veterinario).
Ampliamento delle strategie aziendali e dei processi produttivi. Tali nuove competenze trovano un ottimo banco di prova nella capacità e possibilità, in una logica di diversificazione, di sviluppare attività connesse o collegate all’agricoltura quali, ad esempio, la trasformazione, la vendita diretta, le agroenergie, gli agriturismi, le fattorie didattiche. Si affianca un interesse crescente a migliorare la propria capacità di relazionarsi con il mercato sia domestico – vendita diretta o mercatini biologici o grande distribuzione – sia con un crescente e progressivo interesse per i mercati internazionali. Diversificazione e internazionalizzazione possono costituire due metodi fra loro complementari.
Le criticità: dimensione, canali distributivi e rapporto con il credito. Si tratta di ricercare soluzioni personalizzate che possono anche prevedere aggregazioni, società di scopo, fusioni e accorpamenti. In secondo luogo, la questione rinvia ai canali distributivi e ai suoi operatori, ritenuto un tema centrale per lo sviluppo del settore in futuro. In particolare, gli intervistati raccontano la difficoltà, attuale, a rapportarsi con la grande distribuzione che spesso è egemone e non tiene conto della qualità e della diversità dei prodotti. Criticità evidenziata è senza dubbio la possibilità di continuare ad avere le risorse necessarie per proseguire il processo di trasformazione e di ammodernamento delle imprese agricole.
Per quanto riguarda il rapporto con il mondo del credito vengono evidenziate alcune questioni condivise anche dagli altri settori produttivi: la perdita di un contatto con il territorio determinato dal ricambio dei direttori di filiale, punto di riferimento degli imprenditori; l’allungamento della filiera decisionale, la cui ultima istanza è spesso collocata in luoghi distanti; di qui, una preferenza spiccata per le banche di credito cooperativo, rispetto a quelle di carattere nazionale o assorbite nei grandi gruppi.
Bilanci e fatturato in crescita – Il 75,0% delle imprese dell’agroindustria nordestine ha chiuso il bilancio del 2010 in utile (70,6% in Italia), con un miglioramento rispetto all’anno precedente (73,4%; 69,3% in Italia) e al 2008 (69,8%; 66,2% in Italia). Tuttavia, la redditività rimane inferiore rispetto ai livelli pre-crisi e la produttività, benché superiore alla media nazionale, appare calante.
Infine, migliora la situazione finanziaria. Fra il 2007 e il 2010 le imprese comprese in area rischio (con debiti pari a oltre il doppio del patrimonio netto) diminuisce sensibilmente: dal 35,7% del 2007 (32,7% in Italia), al 26,0% del 2010 (24,5% in Italia).
Il 2011 è stato un anno caratterizzato da un’ulteriore crescita sia per quanto riguarda il fatturato che per quanto attiene l’occupazione. Il 42,3% delle imprese dichiara di aver aumentato il fatturato nel corso del 2011, a fronte di un 24,1% che ha invece subito un decremento.
Influenzano l’andamento del fatturato e dell’occupazione tre elementi importanti: la dimensione dell’impresa, l’apertura ai mercati internazionali, anche solo in termini di vendita, e l’aver realizzato un processo di ricapitalizzazione.
Percorsi di strutturazione aziendale – Nel 2011 le imprese “strutturate” (ovvero che presentano da tre a sei funzioni nella propria organizzazione) hanno fatto registrare i risultati migliori in termini di variazione del fatturato: il 50% lo ha visto aumentare, contro una media del 42,4% e un dato del 36,7% di quelle non strutturate. Negli ultimi quattro anni, un’azienda su quattro (24,6% – con punte del 39,6% tra quelle appartenenti al settore lattiero-caseario) è risultata interessata da upgrading funzionale, cioè ha introdotto una o più funzioni che non erano prima presenti.
Significativamente durante questa congiuntura negativa ad avvertire maggiormente il bisogno di strutturazione interna sono le imprese più piccole (30,2% di quelle tra 10-19 dipendenti e 25,8% di quelle tra 1-9).
L’innovazione dell’output e del processo produttivo è poi tra i fattori più importanti adottati per aumentare la propria competitività. Nel periodo 2008-2012 tre imprese su quattro (74,7%) dichiarano di avere realizzato una qualche forma di innovazione. Un terzo (32,9%) ha mantenuto gli investimenti avviati pre-crisi e più di una su quattro (27,6%) ne ha avviati di ulteriori.
Nello stesso tempo, una parte minoritaria ma non marginale (25,3%) di titolari d’impresa dichiara di non aver realizzato alcun processo di innovazione. Negli ultimi tre anni, il 64,7% delle imprese agroindustriali del Nord Est ha operato innovazioni sul prodotto, mentre il 42,9% ha investito per innovare il processo di produzione. Sempre nell’ambito di chi ha innovato in entrambi i campi, è più consistente la presenza delle aziende internazionalizzate (38,5%) e di quelle che hanno proceduto a una ricapitalizzazione (42%).
L’export e i nuovi mercati – Le imprese agroindustriali esportatrici, sono nell’ambito dell’agroindustriale nordestino il 33,3%.DI CUI L’87,1% di queste ha un orizzonte internazionale che è contenuto entro i confini UE. Anche in questo caso, la dimensione d’impresa e l’avere realizzato una ricapitalizzazione giocano a favore dei processi d’internazionalizzazione. Infatti, riesce ad aprirsi a relazioni internazionali più facilmente un’impresa più grande (79,6%: oltre 50 dipendenti) piuttosto che piccola (32,6%: meno di 9 dipendenti); chi ha ricapitalizzato (52,0%) rispetto a chi non l’ha fatto (43,7%).
Il 70,7% delle aziende indica il mercato interno come prima scelta tra i mercati più promettenti nel prossimo futuro. Significativa è la divergenza delle previsioni tra chi è internazionalizzato e chi invece opera esclusivamente in Italia. Il 47,1% dei primi pensa al mercato interno come al più promettente, contro il 91,5% dei secondi. Il 19,1% dei primi crede alla crescita dei propri affari in Unione Europea, contro il 5,2% dei secondi.
Apertura incerta e calo della produttività: le aspettative 2012 – Le aspettative degli imprenditori agroindustriali del Nord Est per quanto riguarda il primo semestre del 2012 mettono in luce qualche preoccupazione. Le attese per il primo semestre 2012 evidenziano un clima di fiducia negativo con il 20,7% di prospettive positive sul fatturato a fronte di un 27,2% di attese negative.
Ancora una volta i più ottimisti risultano essere i titolari delle imprese più strutturate. In generale un’impresa su due prospetta una stabilità della situazione. Le prospettive sugli ordini in generale e in particolare quelli dall’estero presentano un saldo di opinione ancora positivo rispettivamente per 2,1 e 7,5 punti percentuali, con circa il 22% di attese di crescita e circa il 60% di attese di stabilità. Infine il dato sugli investimenti indica una forte propensione alla riduzione, condivisa da circa 1/3 del campione.
Liquidità e incassi – Il 37,6% delle imprese agroindustriali denuncia una forte carenza di liquidità e più di due terzi (68,1%) avverte forti ritardi nei pagamenti. Negli ultimi tre mesi il 40,1% ha richiesto alla propria banca nuovo credito o l’ampliamento di un credito già esistente.
Per il 16,3% delle imprese che si sono rivolte alle banche la domanda di credito ha avuto esito negativo perché il finanziamento non è stato concesso (12,9%) o perché la stessa azienda ha dovuto rinunciarvi a causa delle condizioni troppo gravose imposte (3,4%). Al rimanente 83,7%, invece, il credito è stato concesso alle medesime condizioni (41,1%) o con l’applicazione di obblighi più rilevanti (42,6%).
La nuova richiesta di credito espressa dalle imprese dell’agroalimentare nordestino risponde pressoché parimenti sia a esigenze di cassa (67,9%), sia alla volontà/necessità di realizzare nuovi investimenti (64,4%). Indipendentemente dalle finalità e dall’effettiva richiesta di nuovo credito, il 39,3% delle imprese interpellate ritiene che negli ultimi tre mesi le banche siano state più prudenti nel concedere il prestito, soprattutto nel caso di richiesta di finanziamenti a breve termine (55,2%), rispetto a quelli di durata superiore ai dodici mesi (44,8%). Infine, accanto a una maggiore selettività del credito, il 13,6% delle imprese si è anche vista avanzare una richiesta di rientro totale o parziale degli affidamenti.
Panel e metodologia di rilevazione – La popolazione oggetto di campionamento è costituita dall’insieme delle imprese dei settori dell’industria agroalimentare attivi nel Nord Est italiano. Il campione è stato stratificato per quote in base alle seguenti variabili: provincia(dell’unità locale), settore ATECO 2007 (codici a 2 cifre: 10-11-12) e classe dimensionale. Dal campione sono state escluse tutte le attività di panificazione (ateco07 10.71.10),nelle quali l’attività prevalente fosse il commercio al dettaglio e il numero addetti non superasse le 5 unità.
Tale scelta è stata motivata dal fatto che l’indagine è rivolta a organizzazioni di stampo manifatturiero e non commerciale. Le interviste sono state realizzate telefonicamente dalla società di rilevazione Questlab srl con un sistema misto C.A.T.I. – C.A.W.I. (Computer Assisted Telephone/Web Interviewing). Sono state realizzate due diverse rilevazioni: la prima in novembre 2011 ha coinvolto 750 imprese, la seconda in febbraio 2012 a un campione di 715 impres.