Il presidente della Cgia analizza la situazione anomala del panorama bancario italiano, ed in particolare del NordEst
Venezia – Non conosco le ragioni che hanno portato al commissariamento della Banca di Credito Cooperativo di Campodarsego. E’ chiaro che chi ha deciso questa misura conosce nel dettaglio i fatti e di conseguenza ha agito secondo le disposizioni previste dal Testo Unico Bancario.
Incuriosito da questa vicenda sono andato a vedere quante sono le banche italiane in amministrazione straordinaria. Secondo gli ultimi dati riferiti all’ottobre del 2013, a livello nazionale le realtà sottoposte ad un’azione di commissariamento da parte della Banca d’Italia erano una dozzina. Con sommo stupore ho scoperto che questa lista era composta solo da istituti di credito di medie e piccole dimensioni: tre ubicate nel Mezzogiorno, quattro nel Centro Italia e cinque nel profondo Nord.
Dopo i casi giudiziari che in questi ultimi anni hanno travolto alcune importanti banche nazionali, pensavo che alcune di queste fossero in amministrazione straordinaria. Invece, mi sbagliavo. Probabilmente la “gravità” dei fatti in cui sono state coinvolte era tale da non richiedere la stessa misura che, invece, ha interessato la Banca di Credito Cooperativo di Campodarsego.
Per certi versi il nostro Paese è molto “strano”, a tal punto che nel rapporto tra banche e imprese, ad esempio, vengono premiati i clienti meno affidabili. Se analizziamo il livello di concentrazione del credito balza subito agli occhi come i finanziamenti si concentrino nelle mani di pochi: la maggior parte degli impieghi finisce ai grandi affidati, che sono sostanzialmente grandi imprese, mentre ai piccoli arrivano quote molto più basse.
In Italia, questa forma di concentrazione era già alta nel 2008 (quasi il 79 per cento), ma la crisi non sembra avere intaccato questo trend, anzi nella seconda parte del 2013 è salita all’ 81,5 per cento. A grandi linee la stessa cosa accade nel Veneto dove il primo 10 per cento degli affidati riceve attualmente l’83,3 per cento dei prestiti. Da ciò si potrebbe desumere che se gli impieghi finiscono per lo più nelle mani di pochi, questo è dovuto alla loro migliore solvibilità. Pertanto, le banche preferirebbero fidarsi delle grandi imprese per rientrare con facilità in possesso del denaro erogato.
In realtà non è così: le grandi aziende presentano i tassi di insolvenza più elevati. Infatti, anche nel Veneto il grosso delle sofferenze (78,5 per cento) si concentra proprio all’interno di quel primo 10 per cento degli affidati. Insomma, le grandi attività sono da una parte quelle più favorite nella concessione del credito, ma dall’altra anche le meno puntuali nella restituzione di quanto hanno ricevuto.
E se la situazione non ha assunto dimensioni ancor più preoccupanti dobbiamo ringraziare proprio le Banche Popolari e quelle di Credito Cooperativo che, a differenza delle altre, in questi anni di crisi hanno continuato a erogare il credito alle piccole e alle piccolissime imprese. Se qualcuno ha sbagliato è giusto che risponda del suo operato di fronte alla legge. Ma ritenere, come sostiene qualcuno, che i casi di cronaca di questi ultimi mesi dimostrino che il sistema bancario veneto legato al territorio sia superato e non più in grado di rispondere alle esigenze della nostra economia si sbaglia di grosso.