Il Pil nominale, invece, è cresciuto “solo” del 2,4%
NordEst – Una stangata da 30 miliardi di euro. E’ questo l’importo aggiuntivo di tasse, imposte e tributi che gli italiani hanno versato all’erario e agli enti locali tra il 2010 e il 2015. Se al netto del bonus degli 80 euro in termini percentuali l’incremento di quelle confluite allo Stato centrale (Irpef, Ires, Iva, etc.) è stato del 6,3 per cento (+ 22,3 miliardi in termini assoluti) , quelle locali (Ici-Imu, Tasi, addizionali Irpef, Irap, etc.) sono aumentate di più: precisamente dell’8,1 per cento (+7,8 miliardi di euro). Il Pil nominale, invece, è cresciuto “solo” del 2,4 per cento.
Al netto degli 80 euro concessi a partire dal 2014 dal Governo Renzi ai lavoratori dipendenti con retribuzioni medio basse, nel 2015 i contribuenti italiani hanno versato 389 miliardi di euro all’erario e 104,4 miliardi a Regioni e autonomie locali, per un importo complessivo di 493,5 miliardi di euro.
I conti sono stati realizzati dall’Ufficio studi della CGIA. Afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“Le ragioni della mancata crescita registrata in questi ultimi anni emergono in maniera molto chiara dalla lettura di questi dati. Il forte aumento delle tasse ha condizionato negativamente i consumi, soprattutto delle famiglie, e gli investimenti, soffocando i timidi segnali di ripresa che si sono affacciati in questi ultimi anni. Per tali ragioni, tra il
2010 e il 2015 il Pil è cresciuto tre volte in meno della dinamica delle entrate tributarie. Uno scenario che ha provocato un deciso aumento dell’esclusione sociale e del tasso di disoccupazione, soprattutto tra i giovani e le donne”.
La composizione del gettito per livello di Governo è rimasta pressoché la stessa. Su un importo totale delle entrate tributarie pari a 484 miliardi di euro (anno 2015 al netto del bonus Renzi) il 21,6 per cento è finito nelle casse di Regioni e altri enti territoriali (104,4 miliardi di euro), mentre il 78,4 per cento lo ha incassato l’erario (379,5 miliardi di euro). Rispetto a 5 anni prima, la situazione non ha subito grossi cambiamenti.
E il segretario della CGIA, Renato Mason, sottolinea:
“Avvicinando i centri di spesa a coloro che usufruiscono direttamente dei servizi, si imporrebbe una maggiore responsabilizzazione dei decisori locali che darebbero sicuramente luogo ad una razionalizzazione della spesa e a una conseguente contrazione del peso fiscale. Per il suo definitivo compimento, però, mancano ancora due tasselli importanti: la piena attuazione dei costi standard nella sanità e negli enti locali. Due misure su cui la politica dovrebbe accelerarne il compimento, per dare il via libera ad un vero cambiamento che riscriverebbe i rapporti tra il fisco ed i contribuenti”.
Tra le principali tasse locali, solo l’Irap (- 3,8 miliardi pari a una variazione del -12 per cento) ha subito una contrazione abbastanza decisa: tutte le altre, invece, hanno registrato un netto aumento. Tra il 2010 e il 2015 l’addizionale regionale Irpef è aumentata di 3,1 miliardi di euro (+39 per cento). L’anno scorso nelle casse dei governatori sono finiti ben 11,3 miliardi di euro. L’addizionale comunale Irpef è
aumentata di quasi 1,5 miliardi (+52 per cento): nel 2015 questa imposta ha garantito ai Sindaci un gettito di ben 4,3 miliardi di euro. Ma l’imposta che ha subito l’incremento più sensibile è stata quella sugli immobili. Se nel 2010 l’Ici consentì ai primi cittadini di incamerare 9,6 miliardi, nel 2015 i Sindaci con l’Imu e la Tasi hanno incassato ben 21,3 miliardi (variazione in termini assoluti pari a +11,6 miliardi che corrispondono ad una variazione del +120 per cento).