Una ragazza, entrata in un negozio di articoli sportivi della provincia, ha misurato alcune paia di scarpe decidendo, alla fine, di non acquistarle. Si è sentita, però, chiedere, perentoriamente, dal negoziante la somma di 10 euro che pretendeva poiché la giovane aveva provato le scarpe. Una richiesta, le ha spiegato il commerciante, legata agli ‘abusi’ di chi prova le scarpe per poi acquistarle su qualche sito di e-commerce e spendere meno. La ragazza, sorpresa per la richiesta, ha segnalato che la tassa non era indicata da alcun cartello nel locale e si è rifiutata di pagare. Nei giorni successivi, passando davanti al negozio, ha scoperto che è stato esposto all’interno un cartello che informa del costo di 10 euro per la prova delle calzature.
“Sulla legittimità di una richiesta di questa natura – spiega Federconsumatori – ci sono pareri contrastanti: per alcuni sarebbe legittimo richiedere una quota per una sorta di ‘consulenza’ sull’acquisto, meglio se come acconto per un futuro acquisto. Per altri si tratta di una richiesta illegittima, che va segnalata alle autorità competenti, che debbono sanzionare l’esercente”.
“Le stesse associazioni del commercio – spiega Federconsumatori – si sono espresse criticamente su questa modalità, non appoggiandola. In ogni caso, è necessario che una regola così discutibile, come quella di far pagare la prova di abiti o calzature, sia indicata con grande evidenza all’ingresso del locale commerciale, e non al proprio interno. Questo per consentire al cliente di scegliere se entrare o meno. Inoltre deve essere specificato che la regola sarà applicata a tutti i non acquirenti, e non in modo arbitrario”.
“Con queste chiare indicazioni – spiega l’associazione dei consumatori – il commerciante si troverebbe probabilmente con una clientela ‘selezionata’ ma anche con una notevole riduzione del volume d’affari. Perché pare evidente che non siano modalità ‘artigianali’ come questa a consentire al piccolo commercio di competere coi giganti del web; una modalità che al contrario crea soltanto effetti controproducenti”.
“Ma il tema – ammette Federconsumatori – esiste e siamo disponibili a ragionare di modalità legittime, come ad esempio il divieto di fotografare le merci in negozio e i dati posti sulle relative scatole, segnale assai probabile dell’intenzione di acquistare sul web quanto si è provato in negozio”. L’invito di Federconsumatori Modena, in ogni caso, è quello di non entrare nei negozi che espongono cartelli dove si comunica la possibilità di essere chiamati apagare la prova di abiti o scarpe. Qualora la cosa non sia indicata, bisogna sempre rifiutarsi di pagare, valutando una segnalazione dei fatti alla polizia municipale.
A riportare l’accaduto è Federconsumatori Modena, spiegando che “sono diversi i casi segnalati, tutti relativi al negozio ‘Kiki Sport’ di Mirandola, in quello che probabilmente è il primo caso in Emilia Romagna, dopo quelli recenti in Toscana (Sarzana e Prato) e a Trento”. “Un’altra signora di Mirandola – riporta ancora l’associazione – ha segnalato di aver appreso della richiesta solo una volta all’interno del negozio e di aver abbandonato immediatamente il locale”.