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La Chiesa nuova di Fiera e i “Fatti di Primiero” del 1901: una clamorosa vicenda storica che segnò la comunità

La contesa su chi fosse realmente il titolare del diritto di possesso dell’edificio, durava già da parecchi anni ma si accende in particolare verso fine Ottocento

Particolare della facciata realizzata da Celestino Castagna al termine della Seconda Guerra Mondiale con molti volti riconoscibili

 

di Ervino Filippi Gilli

La Chiesa della Madonna dell’Aiuto o “Cesa Nova” è un edificio di culto eretto nel 1663 in centro a Fiera di Primiero. Questa, più ancora della Chiesa arcipretale di Pieve, è da sempre la chiesa dei “fieracoli”ed è sede delle preghiere serali che si tengono nel mese di maggio e ciò sicuramente fin dai primi dell’Ottocento.

E’  innegabile che una chiesa, oltre ad essere luogo di culto, sia anche fonte di risorse: ecco perciò che nel passato, non è mancata nemmeno una disputa tra Comune e l’allora Decano, sul possesso dell’edificio, ovvero su chi ne dovesse amministrare il patrimonio.

Le cronache dell’epoca

“Preti che impediscono ai fedeli di andar in chiesa (di Cesare Battisti – Il Popolo del 31 agosto 1901) – Sarebbe stata cosa da tener nascosta ben bene che neanche l’aria la sapesse, ma giacchè altri, e proprio chi meno l’avrebbe dovuto, la volle manifestare a suo modo su pei fogli, non sembrerà indiscrezione se un altro ancora dice una parola.”

La storica diatriba

Inizia così la corrispondenza apparsa su La Voce Cattolica del 18-19 maggio 1901 che cerca di spiegare cosa accadde a Fiera di Primiero in quel lontano mese di maggio. La diatriba su chi fosse realmente il titolare del diritto di possesso dell’edificio, durava già da parecchi anni ma si accende in particolare verso fine Ottocento.

Nella lettera scritta il 25 giugno 1892 dall’allora Parroco don Endrici all’I.R. Sezione di Luogotenenza a Trento si legge: “Dall’anno 1865 in poi l’amministrazione di questa Chiesetta viene condotta dal Comune patrono, il quale se ne arroga l’esclusivo diritto, rifiutando di presentare le annuali prescritte rese di conto e di riconoscere nell’autorità ecclesiastica quella ingerenza che le compete.”

Don Endrici scrive anche “supponendo pur anco la proprietà della Cappella nel Comune non si può tuttavia ammettere che a lui spetti l’amministrazione del patrimonio della medesima. Esso infatto a detta dello stesso Comune è stato formato con legati pii, donazioni ed elemosine dirette a scopi pii, sono dunque beni di natura ecclesiastica”. Ecco che il motivo del contendere risulta così evidente: la gestione del patrimonio generato dalle offerte dei fedeli.

La chiesa in una cartolina risalente al 1917

La chiesa venne chiusa su ordine del decano

Allo scontro sulla proprietà si aggiunge la decisione del parroco, don Bertamini, di non tener più il Rosario di maggio nella Chiesa di Fiera, cosa che ormai nel 1901 era divenuta prassi da circa cinquant’anni.

La decisione, stando a quanto scritto da La Voce Cattolica, è legata all’assenza del S.S. in Chiesa e per tale motivo “il decano trasportò la funzione del mese di maggio alla parrocchiale, perché altrimenti si sarebbero rese necessarie in una stessa sera due funzioni, l’esposizione nella chiesa madre ed il maggio nella chiesetta di Fiera, con quanto comodo dei fedeli e con quanto decoro delle sacre funzioni, ognuno che ha sale in zucca lo vede.”

Le proteste

Nonostante le rimostranze di molti che volevano mantenere la funzione in “Cesa Nova”, il parroco rimase sulle sue posizioni: le funzioni di maggio sarebbero state tenute in Arcipretale. Ma anche gli abitanti di Fiera non desistettero.

“Allora quei diversi di Fiera  – si legge sulle corrispondenze – pensarono: ma c’è forse bisogno dei preti? Facciamola noi da soli la nostra funzione! Fu trovato subito fra i laici il prete che recitasse il rosario e mancando alle volte il prete, fu pronta a sostituirlo la sacerdotessa, una donnetta che tutti conosciamo; furono trovati gli uomini di fiducia che raccogliessero l’elemosina, e uno, fra parentesi fece una colletta per decorare l’altare di Maria, ma fu condannato, perché mise parte del denaro raccolto, a decorare la sua scarsella (tasca ndr); i cantori non fu necessario cercarli, c’erano; e la funzione si fece in barba al Decano con a capo alcuni sedicenti devoti e alcuni altri che di Maria si curano come io di Olga Magoga.” (La Voce Cattolica del 18-19 maggio 1901). 

Lo scontro dura un paio d’anni fin quando il parroco decide di forzare la mano e chiudere a chiave l’edificio alle 5 del pomeriggio di giovedì 9 maggio impedendo di fatto le preghiere in quanto si voleva “far desistere i sedicenti devoti dal praticare la proibita funzione”.

Dopo la chiusura del giovedì, la chiesa viene riaperta il venerdì seguente ma il tentativo del sacrestano di richiuderla alle 17 viene ostacolato da un numero imprecisato di fedeli che vi si “barricano” fin oltre le 21, ora in cui il sacrestano riesce finalmente a richiudere l’edificio.

A questa azione del parroco risponde altrettanto fermamente la Rappresentanza Comunale inviando Luigi Trotter allora sacrestano ad intimare a don Bertamini di consegnare le chiavi “colla minaccia – scrive don Bertamini in una lettera al Sindaco – in caso di rifiuto di far aprire violentemente le porte di detta chiesa … atto sacrilego e sommamente lesivo dei diritti della Chiesa cattolica.”

Chiesa 1676, Una stampa da una antica incisione che rappresenta la Chiesa senza la torre municipale eretta nel 1911

Al diniego del parroco, il Comune invia un fabbro il quale, non riuscendo ad aprire la porta, toglie l’inferriata ad una delle finestre della sacrestia e, una volta entrato, apre la chiesa ai fedeli.

Lo scandalo

Pensare agli inizi del Novecento che il potere temporale si opponga a quello spirituale, è quasi impensabile. Il clamore che questa azione provocò è immaginabile: articoli di giornale in cui i corrispondenti dell’una e dell’altra parte si accusano a vicenda di travisare i fatti.

Ma soprattutto, la presa di posizione del Vescovo di Trento che il 20 maggio scrisse al sindaco: “Non posso tacere lo sconforto che mi cagionò i fatti di Primiero … Finchè codesta Chiesa dell’Aiuto non sarà rimessa all’autorità del Parroco e questi non tornerà ad essere l’unico depositario delle chiavi della medesima, e con ciò ne avrà ripreso il pacifico governo, è chiaro che in quella Chiesa così indebitamente sottratta alle mani dell’autorità ecclesiastica non si potranno celebrare messe , né altri riti sacri.”

A questa missiva seguì la causa intentata da don Bertamini il 7 giugno presso l’I.R. Giudizio Distrettuale di Trento. Come sia terminato l’iter giudiziario non è possibile dirlo con certezza poichè nell’archivio comunale non è stata rinvenuta documentazione a riguardo.

Credo però di poter affermare che la causa non abbia avuto né vincitori né vinti: è probabile che la gestione delle offerte sia tornata in mano alla parrocchia mentre il diritto di possesso sia passato al Comune.

A riprova del fatto, c’è la situazione catastale (la particella edificiale su cui sorge l’edificio di culto è intestata al Comune), ma anche l’assenza di atti di approvazione della parrocchia per molti interventi di restauro realizzati nel tempo – quali la modifica della facciata – ovvero un’altra storia, che vi racconteremo prossimamente.

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