Conosco persone di talento che la società non “vede”. Spesso sono talenti che generano crescita umana, ma la società è ubriacata di profitto e funziona solo così: se “rendi” hai un valore (sul mercato), altrimenti no.
In altre parole, secondo il modello socioeconomico che detta legge, le possibilità sono due: o ti omologhi o ti emargini. Sì, come dipendesse tutto da te. Altrimenti?
Negli ultimi dieci anni 250mila ragazzi hanno lasciato il nostro Belpaese e non per scelta (cfr. Il Sole24ore dell’8 ottobre scorso). La loro è una “protesta” dignitosa, concretissima. Non assomigliano agli emigranti di un secolo fa. Sono perlopiù laureati, consapevoli del proprio valore e potenzialità e credono ancora nel diritto al lavoro come espressione di sé.
Altri restano e creano realtà nuove con un’energia che smuove il mondo. Intuiscono che stiamo attraversando una crisi di grossa portata, che non sono loro ad essere “sbagliati” e si può provare ad aprire nuove strade o declinare le vecchie in modo nuovo.
E il mondo adulto che fa? 12Arranca, e tuttavia qualcuno a decifrare questa straordinaria crisi antropologica come crisi di crescita e a nutrire speranza c’è, qualcuno a fare da apripista c’è. E tanto basta.
Ad esempio, ascoltate due minuti di Marco Guzzi, “Troppe leggi poca vitalità”, un’alternativa al pensiero unico disperante. E magari scegliamo un tè speziato all’arancia che ci riscaldi un po’.