Fino al 1° maggio 2023, il gusto per l’esotico e le culture dell’Oriente sono raccontate al Castello del Buonconsiglio di Trento in un’esaustiva mostra con le fotografie di Felice Beato e le raccolte di manufatti di don Giuseppe Grazioli. Questa esposizione, dedicata al Paese del Sol Levante dei secoli scorsi, è organizzata dal Castello del Buonconsiglio e dall’Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento con il patrocinio del Comune di Trento, del Consolato Generale del Giappone a Milano e della Fondazione Italia Giappone
di GianAngelo Pistoia
NordEst – Nella seconda metà dell’Ottocento il Giappone, terra lontana e fino ad allora quasi sconosciuta agli Europei, dopo secoli di volontario isolamento si apre al commercio con l’estero, accogliendo mercanti ma anche viaggiatori, affascinati dalla sua cultura e dalle sue tradizioni. Il gusto per l’esotico e le culture dell’Oriente, che già in Europa si era manifestato nel secolo precedente con una passione per le ‘cineserie’, dà ora origine a una nuova moda, il giapponismo. Anche a Trento, come nel resto d’Europa, giungono oggetti d’arte e di artigianato, stampe e fotografie, che evocano atmosfere del Paese del Sol Levante, ricercati per arredare abitazioni e arricchire collezioni.
Chi porta in Trentino per primo questi manufatti è Giuseppe Grazioli, che negli anni Sessanta dell’Ottocento si spinge fino a Yokohama in Giappone alla ricerca di uova sane di baco da seta, per fronteggiare la diffusione della pebrina, la malattia che aveva compromesso la produzione sericola di tutta Europa e quindi anche di quella locale. A seguito delle ripetute donazioni di oggetti estremo-orientali da parte di Giuseppe Grazioli al giovane Museo Civico di Trento si forma così un’interessante raccolta, poi confluita nel Museo Nazionale e oggi al Castello del Buonconsiglio, grazie alla concessione in deposito della collezione da parte del Comune di Trento.
La mostra “Incontri in Giappone. Le fotografie di Felice Beato e le raccolte di Giuseppe Grazioli al Castello del Buonconsiglio” – inaugurata lo scorso 3 dicembre e visitabile fino al 1° maggio 2023 al Castello del Buonconsiglio di Trento – è una straordinaria occasione per far conoscere questa importante collezione, oggetto di una recente catalogazione e di primi interventi conservativi in previsione di una complessiva esposizione. Manufatti, stampe, scatti di celebri fotografi, raccolti da Grazioli nei suoi viaggi ed esposti ora per la prima volta, raccontano la sua singolare avventura e gli incontri in paesi così lontani.
Ma procediamo con ordine e scopriamo il “background” di questa interessante mostra organizzata dal Castello del Buonconsiglio e dall’Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento con il patrocinio del Comune di Trento, del Consolato Generale del Giappone a Milano e della Fondazione Italia Giappone. Esposizione curata da Pietro Amadini e dal direttore del Castello del Buonconsiglio, Laura Dal Prà.
Nel 1864 Giuseppe Grazioli parte per il Giappone su incarico del “Comitato circolare seme-bachi”, costituito per far fronte alla pandemia che colpisce la sericoltura europea e che aggrava la situazione economica trentina, già compromessa dalla crisi agraria di quegli anni. Sacerdote, agronomo, persona colta e intraprendente, Grazioli è individuato per questa importante spedizione per la sua competenza e il suo valore, apprezzato nella sua azione pastorale, svolta soprattutto in Valsugana, e nel suo instancabile impegno in campo sociale, economico e politico.
Come altri semai europei – intermediari o acquirenti di seme e bachi – parte per il Giappone dopo aver già affrontato altre missioni, poco efficaci, nell’Europa dell’Est e in Asia minore. In pochi anni compie ben cinque viaggi, l’ultimo nel 1868, che gli consentono ogni volta di raggiungere l’obiettivo e intrecciare importanti relazioni nel Paese del Sol Levante. Da ogni missione, oltre ai preziosi cartoni di seme-bachi sani, porta con sé casse di opere e manufatti giapponesi, assecondando le richieste di amici e conoscenti e il proprio desiderio di donare testimonianze della cultura del lontano paese al museo civico cittadino.
Meta delle missioni di Grazioli in Giappone, come per molti altri semai europei, è Yokohama. Solo pochi anni prima, nel 1854, il Paese si è aperto agli stranieri dopo secoli di isolamento, in un delicato momento storico di crisi e cambiamento che porterà di lì a poco alla conclusione del periodo Edo, segnato dal secolare governo degli shogun Tokugawa, e alla restaurazione del potere imperiale che inaugura il periodo Meiji.
All’epoca, Yokohama è uno dei pochi centri portuali aperti ai traffici internazionali. Sorge in una posizione strategica, affacciata sulla baia dove, a poca distanza, si trova Edo, l’attuale Tokyo, sede dello shogunato e il cui accesso è ancora proibito agli occidentali. In pochi anni questo villaggio di pescatori si espande fino a diventare il più grande centro commerciale del Giappone. In un quartiere, separato dalle abitazioni dei giapponesi da una zona occupata dagli uffici governativi, si insedia la più prospera colonia di stranieri del paese, dove fioriscono attività commerciali, molte attinenti alla vendita di seme-bachi e di prodotti locali per i mercati europei, ma anche atelier di artisti e fotografi, occidentali e giapponesi. È in questo vivace ambiente multiculturale che Grazioli intesse importanti relazioni al fine di conseguire i suoi precipui obiettivi.
Il viaggio dall’Europa al Giappone è avventuroso, arduo e richiede mesi di navigazione e trasporti via terra. Dopo l’apertura del canale di Suez l’itinerario privilegiato dalle compagnie di navigazione francesi e inglesi tocca Alessandria d’Egitto, Il Cairo, da lì il Mar Rosso, per proseguire, con tappe a Ceylon e Singapore, fino a Hong Kong e Shanghai e infine a Yokohama, talvolta con lo stesso piroscafo, oppure cambiandone più d’uno, con soste per il rifornimento di carbone. Nel viaggio del 1867 Grazioli, dopo aver visitato l’Esposizione Universale di Parigi, parte addirittura da Liverpool e, attraversando l’Atlantico, raggiunge il Giappone da San Francisco.
Soste esotiche, incontri, contatti e legami, stretti da Giuseppe Grazioli durante i viaggi e i soggiorni nel Paese del Sol Levante, sono documentati da immagini e alcune preziose “carte de visite” con ritratti fotografici, molto in voga in quegli anni. Quelli con diplomatici, intermediari e mercanti sono infatti rapporti fondamentali per il buon esito delle sue spedizioni, per facilitare i contatti con la comunità locale, e per poter cambiare in moneta le preziose lettere di credito che egli porta con sé.
Durante i suoi soggiorni a Yokohama, impegnato nelle trattive commerciali e quindi nei preparativi per il ritorno, Grazioli è accolto in un ambiente vivace e stimolante, dove la cultura europea si confronta con quella nipponica, affascinante e sconosciuta. Queste esperienze in terra giapponese sono rivelate dai suoi taccuini di viaggio, ma anche dal patrimonio di stampe e oggetti e da un interessante nucleo di fotografie. A pochi anni dall’invenzione della fotografia, a Yokohama vengono infatti aperti degli atelier di artisti, europei e giapponesi, che sperimentano questa tecnica innovativa per realizzare ritratti, paesaggi, figure e scene di usi e costumi tradizionali, molto apprezzati e richiesti dai viaggiatori dell’epoca.
Sono immagini raffinate, di grande fascino e potenza evocativa di un mondo poco conosciuto, ispirate, nella scelta dei soggetti, alle tradizionali stampe ukiyo-e. Tra gli studi fotografici frequentati da Grazioli fin dal suo primo viaggio c’è quello di Shimooka Renjō. A lungo considerato il padre della fotografia giapponese, Renjō ritrae aspetti della vita e dell’arte giapponese ma esegue anche “carte de visite” di personaggi occidentali e orientali presenti a Yokohama, nelle quali ambientazioni, costumi, pose sono l’esito di incontri e contaminazioni tra le due diverse culture.
Quasi contemporaneamente all’apertura dell’atelier di Renjō, un altro fotografo si insedia nella città: di origine italiana, naturalizzato britannico, Felice Beato è uno di quei personaggi ottocenteschi, ecclettici e affascinanti, circondati ancora oggi da un’aura di leggenda. Personaggio avventuroso, viaggiatore curioso e infaticabile, abile imprenditore, fin da giovane intraprende l’attività di fotografo presso James Robertson, assieme al fratello Antonio che successivamente si stabilisce in Egitto.
Durante i suoi viaggi in Medio ed Estremo Oriente documenta, con immagini di grande suggestione, paesaggi, popolazioni e individui, ma anche eventi bellici divenendo così l’antesignano degli inviati di guerra. Nel 1863 giunge a Yokohama, dove apre uno studio in società con l’artista inglese Charles Wirgman, che ben presto diventa punto di riferimento per la comunità locale e quella occidentale. I suoi scatti, di elevata qualità e raffinatezza per i sapienti contrasti chiaroscurali, la ricercata “mise en scene” allestita accuratamente in studio, riprendono soggetti già tradizionalmente trattati dalle stampe ukiyo-e, che restituiscono vedute, usi e costumi, beltà femminili, mestieri e momenti di vita.
Montate su cartoncino o raccolte in album, sono immagini che consentono al mondo occidentale di conoscere il Giappone e documentare, in una fase in cui il Paese abbraccia la modernità occidentale, costumi e tradizioni che stanno scomparendo. Come quella del samurai. Sincerità, frugalità, indifferenza al dolore e lealtà incrollabile sono i valori che costituiscono la via del guerriero e che ancora oggi caratterizzano lo spirito giapponese, permeando la società contemporanea, il mondo del lavoro, l’economia, la politica. Il samurai è il modello per eccellenza della società feudale nipponica, storicamente costituita da quattro classi: nobili, guerrieri, contadini e commercianti. Uomo d’arme, nel lungo periodo di pace dopo l’unificazione del Paese, il samurai si trasforma in un funzionario, conservando tuttavia le basi ideali del suo antico ruolo.
Così è immortalato nelle celebri foto scattate da Felice Beato, dove è forse il comandante Koboto Santaro, con il volto nascosto da una maschera, a farsi ritrarre in innumerevoli pose e con l’equipaggiamento caratteristico. Il potere e l’onore del samurai sono rappresentati dal “daishō”, un corredo militare costituito da due spade: la “katana”, da impugnarsi con entrambe le mani per colpire con fendenti e caratterizzata da una lunga lama curva in forma di sciabola, e la “wakizashi”, la guardiana dell’onore, più piccola e maneggevole, da tenere infilata nella cintura, impiegata anche per il noto rituale del suicidio.
Affascinato, come tutti gli occidentali, dalla millenaria cultura giapponese, Giuseppe Grazioli acquista un cospicuo numero di stampe e dipinti da portare in patria. Tra queste spicca una serie di immagini realizzate da atelier locali per soddisfare la richiesta di viaggiatori e collezionisti, che, come le fotografie dell’epoca, di cui condividono medesimi soggetti e impostazioni, riproducono usi e costumi, mestieri e figure tipiche della società nipponica, con lo stile caratteristico delle tradizionali stampe ukiyo-e: personaggi delineati con tratti essenziali e campiture piatte di colore su fondo neutro.
Un interessante nucleo è costituito dalle “oshie”, vezzose ed elegantissime figurine, realizzate con ritagli di tessuti e carte colorate, imbottite di cotone. Create originariamente come passatempo dalle dame dell’aristocrazia di Kyoto, quindi diffuse anche presso le altre classi della società giapponese, potevano essere ritagliate per diventare delle vere e proprie bamboline da donare o delle decorazioni da incollare su paraventi o esporre montate su stecchi.
Il 26 novembre 1866 Yokohama, che in pochi anni era cresciuta con uno sviluppo e una rapidità ben oltre le più ottimistiche previsioni, è colpita da un devastante incendio. Non è un caso insolito per una città giapponese: eventi simili avvengono ripetutamente poiché le case tradizionali, costruite in materiali infiammabili, permettono il veloce propagarsi delle fiamme, favorito dai forti venti invernali.
Proprio per questo nella società giapponese, come testimonia il fotografo Felice Beato in un suo scritto, “è considerato un risultato glorioso estinguere un incendio” e fa “parte dei doveri dei soldati giapponesi aiutare a spegnere gli incendi, per cui sono dotati di un abito da pompiere”. Anche il suo studio e il suo archivio fotografico, come forse il negozio di Renjō e gran parte dei quartieri dei residenti locali e stranieri, sono distrutti. Felice Beato proseguirà comunque l’attività di fotografo, specializzandosi in immagini fotografiche elegantemente acquerellate a mano, così apprezzate da essere spesso utilizzate nei primi libri europei dedicati al Paese del Sol Levante.
Dopo questo “excursus” su Giuseppe Grazioli e Felice Beato, torniamo al Castello del Buonconsiglio a Trento per illustrare l’allestimento della mostra “Incontri in Giappone. Le fotografie di Felice Beato e le raccolte di Giuseppe Grazioli al Castello del Buonconsiglio”.
Grazie anche alla collaborazione con la Biblioteca Comunale di Trento, l’esposizione presenta in una prima sala la figura di Grazioli e i suoi viaggi, mostrando per la prima volta i suoi preziosi taccuini di viaggio. Stampe all’albumina di Vassilaki Kargopoulo, di Antonio e Felice Beato, di Wilhelm Hammerschmidt, dello studio di George S. Lawrence e Thomas Houseworth di San Francisco e di altri fotografi ancora, illustrano le principali tappe dell’itinerario asiatico e di quello americano percorso da Giuseppe Grazioli, così impegnative e al tempo stesso interessanti, in un’età precedente all’apertura del Canale di Suez e a quella dello Stretto di Panama.
Un’armatura completa da samurai, appositamente restaurata per l’occasione, introduce quindi alla sala successiva, dedicata al Giappone, dove si sviluppano le sezioni principali: si parte con le “carte de visite” di Shimooka Renjō, tra i primissimi fotografi professionisti giapponesi, per passare a Felice Beato, maestro indiscusso della scuola fotografica di Yokohama, dal quale Grazioli acquistò nel 1865 dieci albumine, rappresentative della primissima produzione fotografica dell’artista in terra nipponica, quella cioè antecedente l’incendio della città del 1866, che coinvolse anche il suo studio.
Infine, dopo un accenno al rapporto fra pittura di genere e fotografia e a curiose testimonianze di costume si giunge alla sezione conclusiva, dove la grande riproduzione di una famosa fotografia di Felice Beato raffigurante un tipico negozio di oggettistica (Curioshop) è lo spunto per esibire una selezione di manufatti giapponesi d’arte applicata quale esempio dell’offerta che il mercato di Yokohama proponeva ai sempre più numerosi stranieri “giramondo” dell’epoca.
La mostra “Incontri in Giappone. Le fotografie di Felice Beato e le raccolte di Giuseppe Grazioli al Castello del Buonconsiglio” è visitabile fino al 1° maggio 2023. Il sito web del Castello del Buonconsiglio di Trento è: www.buonconsiglio.it