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Il Veneto dichiara guerra ai capanni di caccia abusivi

E’ l’ultimo atto della campagna contro l’abusivismo edilizio venatorio effettuata in  tutto il territorio regionale

NordEst – La Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto ha recentemente (nota prot. n. 11571 del 15 luglio 2014) reso noto, in risposta a un nuovo esposto (19 giugno 2014) del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto in merito a capanni di caccia “fissi” nelle campagne boscate di Mossano (VI), che porrà in essere i “poteri sostitutori, secondo quanto previsto dall’art. 167, comma 3 del d.lgs. 42/04” qualora le strutture abusive non fossero demolite dai trasgressori o dai Comuni e dalla Regione, in caso di inadempienza.

E’ l’ultimo atto – finora – della campagna contro l’abusivismo edilizio venatorio effettuata nel Vicentino e nel Trevigiano e poi estesa a tutto il territorio regionale per verificare la legittimità urbanistica e paesaggistica di numerose postazioni venatorie con strutture fisse (altane, capanni in muratura e legno). Hanno impegnato il loro tempo libero per mesi i coraggiosi volontari dalla L.A.C. e dall’E.N.P.A., sezioni di Vicenza, in collaborazione con il Gruppo di Intervento Giuridico veneto, per verificare la legittimità urbanistica e paesaggistica di numerose postazioni venatorie con strutture fisse (altane, capanni in muratura e legno).

Sono stati più di un centinaio le altane di caccia e i capanni-bunker rinvenuti nei boschi e nelle campagne della Provincia di Vicenza e di Treviso, successivamente segnalati alle amministrazioni pubbliche e alla magistratura competenti per gli accertamenti del caso.

Il risultato ha fatto emergere una realtà diabusivismo esprezzo dell’ambiente di proporzioni colossali, le postazioni rilevate sonocentinaia, ricomprese nei territori da Breganze a Salcedo, da Mason Vicentino a Marostica, da Bassano del Grappa passando per Campolongo sul Brenta a Romano d’Ezzelino, salendo sul massiccio del Grappa per arrivare fino a Liedolo in provincia di Treviso.

I rilievi effettuati hanno permesso di portare alla luce altane, torrette e capanni serviti abusivamente ed illegittimamente per massacrare centinaia di migliaia di altri animali. I seguaci di Diana non hanno esitato a costruire le torrette in prossimità delle strade, nonostante la legge preveda delle distanze ben precise per praticare l’attività venatoria, non c’è stata alcuna esitazione nemmeno a tagliare grossi rami ed alberi per aprirsi il fronte, e pertanto, la possibilità di avere una linea di tiro a 360 gradi, tutto ciò togliendo al paesaggio importanti parti di natura che costituiscono un patrimonio di tutti, compresi turisti ed escursionisti che annualmente visitano i boschi della Provincia, come pure non c’è stato nessun indugio a lasciare centinaia di bossoli e di borrette abbandonati sul suolo.

Decine e decine le irregolarità di natura urbanistica e paesaggistica rilevate dalle autorità territorialmente competenti, Carabinieri del G.T.A. di Treviso, il Corpo Forestale dello Stato, gli uffici urbanistici dei vari Comuni e, per gli aspetti di competenza, le varie Procure attivatesi a seguito degli esposti effettuati dalle associazioni animaliste e ambientaliste.

Irregolarità riscontrate anche nei confronti dell’ambiente circostante come il ritrovamento nelle prime colline di Marostica (VI) di centinaia di bossoli bruciati per terra, i quali, hanno sprigionato nell’aria pericolose tossine derivanti dalla bruciatura della plastica di cui sono costituiti, tutto ciò in spregio della salute dei cittadini residenti nelle vicinanze.

Le torrette e altane rinvenute, vere e proprie postazioni sopraelevate alte anche 20-30 metri dal suolo, erano realizzate dai cacciatori, con ferro, legno, plastica, lamiere e teli, costruite sia sui boschi, per la caccia ad ungulati e cinghiali, sia sui crinali dove si concentra la migrazione dei passeriformi; decine le vecchie postazioni abbandonate nel più totale degrado con pezzi pericolosamente arrugginiti e penzolanti.

Grazie al preciso e certosino lavoro effettuato dai volontari delle associazioni ambientaliste ed animaliste, ora tutto quello scempio non esiste più, nei confronti dei proprietari delle costruzioni e ai proprietari dei terreni su cui sorgevano sono stati, infatti, avviati procedimenti per l’irrogazione di sanzioni per violazioni urbanistiche ed edilizie, e se per molti il reato si è estinto con la rimessione in ripristino delle aree soggette a vincolo paesaggistico, diversa è la sorte toccata a chi dovrà rispondere di reati di natura penale.

Tuttavia, il Consiglio regionale del Veneto, su proposta della Giunta e richiesta insistente da parte del mondo venatorio, ha con arroganza puntato alla legalizzazione del far west di altane e capanni di caccia alla faccia dei basilari principi giuridici di tutela ambientale e del territorio.

Dopo l’istanza del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e il ricorso governativo, con la sentenza n. 139 del 13 giugno 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità della legge regionale 6 luglio 2012, n. 25 nelle parti in cui esenta gli appostamenti per la caccia (capanni, altane) dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e dal titolo abilitativo urbanistico-edilizio (D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).

Attualmente, quindi, sono esenti dall’obbligo di ottenimento della preventiva autorizzazione paesaggistica (art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) solo capanni effettivamente rimovibili e rimossi quali strutture precarie e altane per la caccia agli ungulati in legno prive di “allacciamenti e opere di urbanizzazione”, nonché di “attrezzature per il riscaldamento” (legge regionale Veneto n. 12/2012).

Gli altri capanni di caccia e altane vanno demoliti e dev’essere effettuato il ripristino ambientale, senza eccezioni.

La campagna contro l’abusivismo edilizio venatorio continua: invitiamo pertanto a segnalare i capanni di caccia in tutto il territorio veneto agli indirizzi di posta elettronica protezionismo.padova@gmail.com oppure grigveneto@libero.it.

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