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La ‘Carta di Trento’ per l’autonomia del Tibet

Su invito della Provincia autonoma di Trento e dell’associazione Italia-Tibet, in chiusura di un convegno internazionale dedicato alle varie forme di autonomia regionale del mondo. Nel suo intervento pungente, a volte caustico nel denunciare l’incapacità della Cina di comprendere la cultura e la spiritualità tibetane, il Dalai Lama ha pronunciato un forte appello in favore dell’autonomia del Tibet, un’autonomia che consenta ai tibetani di tutelare e valorizzare la propria lingua e le proprie tradizioni religiose e civili, nel rispetto dei confini della Repubblica popolare cinese e della stessa Costituzione cinese. Il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai ha presentato per l’occasione la "Carta di Trento per il Tibet", un documento che il Trentino e l’Alto Adige/Südtirol si impegnano a far sottoscrivere alle altre regioni autonome del mondo, in appoggio alla causa tibetana e al Memorandum che il Governo tibetano in esilio ha consegnato recentemente alla Cina, come base per il dialogo.

Per la terza volta questo pomeriggio, dopo le precedenti visite del 2001 e 2005, l’auditorium Santa Chiara di Trento ha ospitato il Dalai Lama, invitato a partecipare ad una tavola rotonda in chiusura del convegno dedicato all’esame di alcuni dei più importanti esempi di autonomia regionale al mondo, dal Trentino Alto Adige al Quebec, dalla Catalogna alla Scozia alle isole Aaland, organizzato in collaborazione con l’Università degli studi di Trento e l’Accademia europea di Bolzano. Hanno preso la parola in apertura anche Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento, Luis Durnwalder, presidente della Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige/Südtirol, Bernat Joan, segretario della politica linguistica della Generalitat de Catalunya, Elisabeth Nauclér, deputata al Parlamento Finlandese per le isole Aaland, Roberto Pinter, dell’associazione Italia-Tibet di Trento e Roberto Toniatti, giurista dell’Università di Trento.

Grande era l’attesa per le parole che avrebbe pronunciato il Dalai Lama, giunto in mattinata nel Palazzo della Provincia di Trento provenendo da Bolzano. Nel suo discorso pubblico, così come nel breve incontro avuto con la stampa trentina assieme al presidente Dellai, il Dalai Lama ha sottolineato innanzitutto la distanza esistente fra terre come il Trentino e l’Alto Adige, che godono di un’autonomia "reale", e che dispongono degli strumenti giuridici per tutelare i propri diritti, e il Tibet.

"Se in Italia i diritti costituzionali sono veramente garantiti, in Cina non è così. Noi non possiamo ricorrere ad un giudice o a una corte per vederci riconosciuto ciò che in teoria la costituzione cinese ci riconosce. Quando descrivo la situazione del Tibet sotto il dominio cinese, solitamente non parto dalle questioni ideologiche. Dico che noi abbiamo un ospite non invitato, che è entrato nel nostro paese con le armi e si è messo a controllare tutto. Un ospite che ci dice cosa mangiare, come dormire, cosa sognare. Un ospite che sostiene di averci liberati. Quando noi tibetani sentiamo dire questo ci chiediamo: ma da che cosa?

Il Tibet ha una storia millenaria, una propria cultura, una propria tradizione spirituale. I tibetani hanno sempre avuto una grande fiducia in se stessi, una grande dignità. Siamo gente fiera e orgogliosa. Sul piano culturale, linguistico, della tradizione storica, siamo alla pari dei cinesi, se non più avanti. E comunque, il Buddismo è arrivato in Tibet dall’India, non dalla Cina. La nostra lingua è mutuata dal sanscrito, non dal cinese. Che il Tibet sia cosa diversa dalla Cina lo provano le semplici espressioni verbali che la gente usa per definirci. Io sono definito il Dalai Lama del Tibet, non della Cina. La gente dice ‘buddismo tibetano’, non ‘tibetano-cinese’. Non siamo stati noi ad inventare tutto questo, è la nostra storia, la nostra eredità millenaria. Il comunismo cinese si è rivelato di strette vedute e di limitato pensiero. All’inizio le idee che proponeva erano positive, ma il risultato che noi oggi vediamo è che sei milioni di tibetani sono privi di ogni diritto."

Da dove partire, allora, per cambiare le cose? Per il Dalai Lama dall’informazione libera, dall’abolizione della censura. "Molti cinesi pensano che i tibetani sono degli ingrati. Sono stati presi sotto l’ala protettrice della Cina, e non le sono riconoscenti. Questo avviene perché non dispongono di informazioni corrette. E’ il momento che ci sia finalmente in Cina libertà di informazione. Un miliardo e trecento milioni di cinesi hanno diritto di sapere le cose come stanno. Anche la democrazia è importante, ma qui il discorso si fa più delicato. Non è interesse di nessuno creare il caos con un cambiamento radicale.

Pensiamo sia preferibile un cambiamento graduale. Il problema è che il nostro ‘ospite’, come l’abbiamo definito, non è molto brillante; pensa solo al controllo. Pensa sia sufficiente dare cibo, dare una casa ai tibetani. Ma non è così: abbiamo la nostra civiltà i nostri valori, non ci basta mangiare e dormire Abbiamo una spiritualità che i cinesi non comprendono e che temono."

Se questo è il quadro, la soluzione è una sola: una forte autonomia, un’autonomia che consenta alla civiltà tibetana non solo di sopravvivere, ma di valorizzarsi, anche passando attraverso i necessari cambiamenti rispetto al passato, come quello che nel 2001 ha introdotto le elezioni degli organi politici rappresentativi della comunità tibetana in esilio (che hanno sede com’è noto a Dharamsala, in India). Un’autonomia che inoltre consenta una migliore tutela dell’ambiente, una distensione nei rapporti fra Cina e India e una progressiva smilitarizzazione dell’altopiano tIbetano. Un’autonomia, infine, che porti anche benessere.

Che l’autonomia del Tibet possa giovare anche alla Cina, era stato peraltro sottolineato dagli stessi relatori che hanno preceduto il Dalai Lama. Il ragionamento è semplice. La repressione genera inevitabilmente ribellione, mentre un’autonomia vera, un’autonomia che soddisfi le esigenze della minoranza che la richiede, rappresenta una tutela per lo stesso Stato che la concede, nei confronti dei pericoli di una secessione violenta. Esempi come quello della Scozia, del Quebec, ma anche del Trentino e dell’Alto Adige/Sudtirol sono lì a dimostrarlo.

Autonomie siffatte, come sottolineato nel suo intervento dal presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, sanno che in virtù di quanto sono riuscite a conquistare negli anni portano oggi una responsabilità in più nei confronti di popoli come quello tibetano. "Noi trentini – ha detto Dellai – abbiamo sofferto quando eravamo una minoranza italiana in seno all’Impero austroungarico, i sudtirolesi hanno sofferto molto di più quando si sono ritrovati ad essere una minoranza tedesca sotto l’Italia, durante gli anni del fascismo. Nel Secondo dopoguerra abbiamo ottenuto finalmente un’ampia autonomia che oggi si proietta in una più grande dimensione transfrontaliera, a cavallo fra Italia e Austria, in seno all’Europa unita.

Forti di questa consapevolezza, vogliamo dare un contributo concreto alla causa dei popolo tibetano; per questo abbiamo varato quella che ho definito ‘Carta di Trento’, un documento di appoggio all’autonomia del Tibet che nelle prossime settimane chiederemo di sottoscrivere ad altre regioni autonome dell’Europa e del mondo. Perchè siamo convinti che sul piano internazionale non siano solo gli stati a contare, che anche le regioni e le comunità che le abitano possono e devono fare sentire la propria voce."

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Categories: NordEst
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