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La “Guida Michelin Italia” compie 70 anni: ecco gli Chef stellati tra le Dolomiti

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Al teatro “Pavarotti-Freni” di Modena assegnate per il 2025 le prestigiose stelle “Michelin” ai ristoranti che grazie ai loro esperti cuochi offrono una cucina eccelsa, etica e sostenibile. Premiata, fra l’altro, la filosofia “Cook the Mountain” ideata dallo chef Norbert Niederkofler e divulgata nelle Dolomiti anche dai suoi colleghi stellati Alessandro Gilmozzi, Edoardo Fumagalli e Peter Brunel

[ Banner della 70^ edizione della “Guida Michelin Italia 2025” – © courtesy of the “Guida Michelin Italia” Press Office ]

di GianAngelo Pistoia

NordEst – Negli anni Cinquanta, il miracolo economico mise le ruote all’Italia attraverso una rapida rivoluzione del trasporto individuale, facilitata sia dall’arrivo sul mercato di accessibili utilitarie che dalla contestuale espansione del network autostradale. A sette decadi dall’irripetibile boom che modificò il tessuto sociale, finanziario e demografico del Bel Paese, la mobilità della penisola (ed in buona parte dell’Occidente) è alle prese con un cambiamento altrettanto epocale, legato però alla transizione energetica.

“Guida Michelin Italia”: genesi, presente e futuro
In questo lungo lasso di tempo, la “Guida Michelin Italia”, presentata per la prima volta nel 1956 – e la cui prima edizione in assoluto edita in Francia, da un’idea di due produttori di pneumatici i fratelli André ed Edouard Michelin, risale addirittura al 1900 sotto forma di opuscolo che elencava gommisti, distributori, officine e poi, appunto, alberghi e ristoranti – è da sempre un’affidabile compagna di viaggio e anche un punto di contatto ancora in essere tra passato, presente e futuro.

[ Prima edizione della “Guida Michelin Italia 1956” – © courtesy of the “Guida Michelin Italia” Press Office ]

Proprio negli anni Cinquanta, in quel cruciale momento di transizione dell’Italia, tra paese agricolo uscito dalle rovine della seconda guerra mondiale e un futuro che si auspicava più roseo, si colloca la prima edizione della “Guida Michelin Italia” pensata, come recita la presentazione “per gli automobilisti che, sia per affari che per diporto, percorrono le strade d’Italia”. Lo sguardo è rivolto ai viaggiatori stranieri ma anche con un occhio al crescente turismo interno, supportato dalla moda della villeggiatura e delle gite fuori porta. La parte del leone la fanno gli alberghi, perché l’automobilista deve innanzitutto trovare un buon posto in cui soggiornare, ma cresce anche l’interesse verso i ristoranti. Con il sopraggiunto benessere, il pranzo fuori casa non è più un lusso, ma un modo piacevole per trascorrere il tempo libero.

[ “Guide Michelin” retro vintage francesi degli anni Cinquanta – © Ian Shaw / Alamy Live News ]
Come gli pneumatici – core business di Michelin – anche la “Guida Michelin”, che quest’anno spegne 70 candeline, negli anni si è evoluta, diventando sempre più tecnologica e digitale, in linea con la missione di Michelin: migliorare la mobilità delle persone in modo sostenibile. L’evoluzione è un tema che accomuna entrambe le anime di Michelin. Pneumatici e “Guida Michelin” si sono trasformati diventando, anche, sempre più sostenibili. Un termine che oggi sentiamo quotidianamente, che Michelin ha iniziato a trattare oltre 30 anni fa, realizzando il primo pneumatico verde nel 1992. Così, spostandosi sul mondo della “Guida Michelin”, nel 2020 è nata la “stella verde Michelin”. Un riconoscimento nato per segnalare ai lettori sensibili al tema i ristoranti più virtuosi e attivi in materia di sostenibilità, ma anche con l’obiettivo di aumentare l’attenzione attorno a questo elemento nel settore della ristorazione. Dall’autoproduzione delle materie prime al supporto dei produttori locali, passando per la formazione dei giovani, l’adozione di soluzioni per ridurre l’impatto energetico e lo spreco alimentare, fino a iniziative a supporto del territorio e della società. I criteri sono molteplici e tengono in considerazione non solo sostenibilità ambientale, ma anche quella sociale.

[ “Bibendum” con la stella verde Michelin – © courtesy of the “Guida Michelin Italia” Press Office ]

La festa per i 70 anni

Quest’anno dunque la “Guida Michelin” festeggia i 70 anni di presenza sul territorio italiano. Un territorio che, come pochi altri al mondo, vive il cibo e tutto ciò che gli ruota attorno con confidenza, quotidianità e gioia. È magnifico, quindi, poter parlare addirittura di “nozze di titanio” tra il “Bibendum (omino Michelin)” e la ristorazione italiana. Settant’anni sono in effetti un lasso di tempo molto lungo, ovviamente pieno di grandissimi cambiamenti, rivoluzioni culinarie che hanno seguito a ruota quelle sociali. Per non parlare delle emozioni che si sono susseguite a tutto spiano. Quasi ogni cosa è cambiata rispetto a quegli anni lontanissimi dell’esordio, probabilmente però è rimasta viva e fulgida la stessa passione ardente che anima questo settore così affascinante e coinvolgente. Alcuni ristoranti che fecero la storia del Belpaese a tavola non ci sono più, altri invece hanno acceso i fornelli in anni più (o meno) recenti e la stanno facendo adesso, in alcuni rarissimi casi questo viaggio temporale a braccetto con la “Guida Michelin” e lungo sette decadi, è iniziato insieme e continua tutt’oggi.
Da anni la “Guida Michelin Italia” è una delle più stellate nel panorama internazionale Michelin, dato che rende merito al livello della ristorazione italiana. Questi i flussi turistici generati dai ristoranti stellati italiani: nel 2023 hanno accolto 2,4 milioni di clienti (il 40,7% dall’estero), creando un indotto pari a 438 milioni di euro, contro i 280 del 2016. Cifre che non includono la spesa sostenuta nel ristorante ma solo ciò che tocca i settori dell’“hotellerie”, del commercio e dei servizi. E le previsioni per quest’anno fanno dormire sonni tranquilli dal momento che si parla di un indotto indiretto che dovrebbe raggiungere quasi i 500 milioni di euro.

[ Marco Do, direttore comunicazione e relazione esterne di “Michelin Italia SpA” – © courtesy of the “Lifegate” ]
«Il “food” è sempre più motivazione di viaggio e la cucina stellata è una risorsa economica per tutto il territorio, anche in termini turistici – afferma Marco Do, direttore comunicazione e relazioni esterne di “Michelin Italia SpA” e spiega – siamo presenti in 45 paesi nel mondo e abbiamo un sistema chiaro, un linguaggio preciso: una stella rossa “Michelin” merita una sosta nel corso di un viaggio, due stelle merita la deviazione del viaggio, tre stelle merita addirittura di organizzare appositamente un viaggio. È lecito immaginare che buona parte di questi flussi turistici che si muovono per andare a “provare” dei ristoranti di livello, lo facciano seguendo i nostri consigli. La “Michelin” non è una guida di critica gastronomica, ma dei consigli che vengono dati a chi viaggia. Noi siamo dei fotografi. I nostri colleghi, gli ispettori, tutti dipendenti Michelin, visitano i ristoranti in anonimato, pagano i conti e poi giudicano in totale indipendenza. Tale scelta non è fatta per sorprendere gli chef o i ristoratori, ma per permettere da un lato a noi di essere liberi e indipendenti nella valutazione e dall’altro alle brigate di lavorare in totale serenità, durante la prova a tavola, facendo esprimere i cuochi in totale scioltezza. I tempi cambiano, i simboli e la grafica evolvono, ma una cosa è rimasta esattamente la stessa da 70 anni: l’imparzialità e l’incorruttibilità degli ispettori, vero punto di forza, ieri come oggi, della selezione della “Guida Michelin”. La fotografia che ne esce è estremamente interessante. Questi i nostri fondamenti che ci hanno portato negli anni a ottenere l’autorevolezza che abbiamo. La nostra infatti è considerata la “bibbia dei gourmet” non a caso».

[ Cerimonia di presentazione della “Guida Michelin Italia 2025” svoltasi al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena ]
La “Guida Michelin Italia 2025”, quella del 70° anniversario, è stata “svelata” lo scorso 5 novembre al teatro “Pavarotti-Freni” di Modena. Dopo il triennio in Franciacorta si è tornati così in Emilia-Romagna, regione che già aprì le porte alla prestigiosa guida nel 2016 e 2017 a Parma e nel 2020 a Piacenza. Evento cultural-mediatico che ha riscosso un unanime apprezzamento dagli “addetti ai lavori”, dai critici gastronomici e dal numeroso pubblico presente composto anche da studenti provenienti da tutta Italia. Però anche in quest’edizione ha aleggiato sullo sfondo della manifestazione una questione irrisolta che così si può riassumere: dopo anni di polemiche, i famosi cinque criteri con cui gli ispettori giudicano i ristoranti e che Michelin assicura essere uguali in tutti i Paesi – qualità dei prodotti, padronanza delle tecniche di cottura, armonia dei sapori, personalità dello chef nei piatti, costanza nel tempo – arriveranno a premiare anche da noi tavole più legate al cibo popolare, tipo una pizzeria? Del resto quest’anno a Città del Messico ha preso la stella una taqueria, “El Califa de Léon”. A Taiwan è toccato a una gelateria con un menu di sette portate. Nel 2016 e nel 2018 a Singapore e a Bangkok aveva fatto scalpore la stella a due chioschi di Chinatown e allo street food di “Jay Fay”.

[ Promozione delle “Guide Michelin Japan” in una libreria di Tokyo – © Ned Snowman / Alamy Live News ]
Differenze che infastidiscono gli stellati europei e che hanno un po’ abbassato le quotazioni della “Guida Michelin”, insieme alle tante partnership siglate nel mondo per mettere sotto la propria lente nuovi territori. Tra dubbi e malumori, una cosa è certa: entrare e rimanere nella “Guida Michelin” è ancora il sogno di ogni chef.

Chef stellati in Trentino Alto Adige

Il Trentino-Alto Adige si conferma una delle regioni dove si mangia meglio in Italia – 28 le stelle totali assegnate – anche se di stelle nuove nell’edizione 2025 della “Guida Michelin Italia” se ne sono accese poche e qualcuna si è addirittura spenta. In cima al “ranking” svetta per l’ennesimo anno con tre stelle rosse e una verde l’altoatesino Norbert Niederkofler, chef e titolare dell’“Atelier Moessmer Norbert Niederkofler” a Brunico con una motivazione che è un compendio di quelle del 2018 e del 2024 che recitavano:

[ Norbert Niederkofler nel 2018 festeggia al Teatro Regio di Parma la conquista della 3^ stella “Michelin” – © Marco Vasini ]
«I piatti rivelano la personalità dello chef. Quelli di Norbert Niederkofler sanno raccontare mille e una storia. I protagonisti sono la natura, la cultura e i gusti schietti e intensi delle sue montagne, la passione e la fatica quotidiana dei contadini e degli allevatori, la qualità eccelsa dei loro prodotti, le tradizioni e i metodi tramandati, il calore dei masi, il desiderio di viaggiare per imparare e di ritornare per ritrovare il proprio stile di vita, l’impegno, la cura, la costanza che si sposano con l’entusiasmo e la leggerezza. Nei piatti di Norbert Niederkofler si gustano questi sapori, si vedono le montagne, si ascoltano queste storie. L’incontro con questa cucina non è un pasto, ma un’indimenticabile esperienza umana (2018). Nel trasferimento dall’Alta Badia a Brunico la filosofia “Cook the Mountain” di Niederkofler ha preso ancora più slancio: “scendendo” dalle montagne è stato infatti possibile avvicinarsi ad un numero maggiore di produttori e allevatori. Grande sinergia con il territorio, attenzione massima alla stagionalità, tecniche virtuose di conservazione degli alimenti e scarto prossimo allo zero: un approccio che lo chef condivide con passione con i suoi ospiti e che diffonde attraverso libri e conferenze (2024)».

[ Norbert Niederkofler in Alta Badia (Alto Adige) – © Freddy Planinschek / courtesy of the “Alta Badia” Press Office ]
Norbert Niederkofler con la filosofia “Cook the Mountain” da lui ideata e divulgata ha cambiato la mentalità di un’intera generazione di cuochi. Ma in cosa consiste questa nuova dottrina culinaria? Lo spiega lo stesso chef nel suo sito web: «Tutto è nato quando ho iniziato a chiedermi come la cucina di montagna potesse contribuire alla crescita sostenibile dell’intero pianeta, come lo chef potesse promuovere la tutela del territorio in cui viviamo e quale potesse essere il futuro dell’alimentazione di montagna e non solo. Per trovare le risposte sono partito dalle mie radici per poi prestare ascolto anche alle tendenze attuali di riscoperta del locale, rispetto della biodiversità, diffusione di prodotti biologici e a km 0, della mentalità del vivere lento seguendo la stagionalità. Ecco che l’obiettivo è diventato subito chiaro: ripensare allo sviluppo economico-sociale indagando i rapporti tra produzione, prodotto, territorio e consumo. Punto di partenza di questo cambiamento dev’essere la cucina, intesa come “catalizzatrice di processi culturali” per la diffusione di un modello di sviluppo sostenibile. In quest’ottica il cuoco deve assumersi il ruolo di “educatore emozionale”, capace di promuovere un nuovo stile di vita. Le persone e i rapporti umani sono il vero valore aggiunto del mio progetto “Cook the Mountain”. In ogni nuova idea e creazione rimane per me fondamentale coinvolgere tutti gli attori che in qualche modo vi partecipano. Agricoltori, allevatori devono essere considerati come gli artigiani del territorio a tutela del territorio. La loro esperienza, la loro sapienza, ci permette d’avere una materia prima pura, perfetta.

[ Lo chef “etico” Norbert Niederkofler con un contadino altoatesino, suo fornitore di ortaggi – © Alex Moling ]
Allo stesso modo ho scelto di privilegiare i piccoli produttori, quelli che quotidianamente s’impegnano con cura e dedizione a tutelare il territorio e a valorizzare il prodotto. Con tutti loro ho sempre avuto un rapporto vis-à-vis, aperto e onesto; quando posso li coinvolgo in alcune mie scelte, mi lascio ispirare. Le loro conoscenze non sono da sottovalutare. La natura è la mia dispensa naturale, la migliore che potessi avere. È in base a ciò che la natura mi offre in un determinato periodo dell’anno che inizio a creare il mio menù, non viceversa. Seguire la stagionalità è una forma di rispetto. Negli ultimi anni questo approccio mi ha permesso anche di riscoprire tante varietà di frutta e verdura che io chiamo “dimenticate” e che oggi inserisco spesso nei miei piatti. Ho poi iniziato a valorizzare davvero il prodotto quando ho ridotto al minimo gli scarti. Dalle bucce di patate alla pelle del pesce fino all’acqua di cottura delle verdure, tutto può diventare un ingrediente di ricette gourmet. Anche la conservazione gioca un ruolo fondamentale contro gli sprechi. Quando scelgo la fermentazione, non mi sto solo prendendo cura di un ingrediente, ma gli sto anche dando un valore in più. L’idea di stimolare l’incontro tra chef di montagna e persone che valorizzano gli ambienti montani (agricoltori, sociologi, scienziati, imprenditori, …) e renderlo un vero e proprio “format-evento” nasce qualche anno fa. Paolo Ferretti, amico, imprenditore e grande amante di arte e cultura, mi ha aiutato a tradurre questa idea in un progetto di ampio respiro, “Cook the Mountain” appunto».

[ VIP al “Care’s on Tour – The ethical Chef Days 2022” organizzato da Norbert Niederkofler– © Marco De Ponti ]
Norbert Niederkofler organizza in Italia delle kermesse – “Care’s the ethical Chef Days” in primis – che riuniscono chef di tutto il mondo, esperti di “food” e opinion leader di vari settori per discutere e confrontarsi sui temi della sostenibilità, coscienza ecologica, etica e “no waste”. Si parla anche di gastronomia etica attraverso i “piatti gourmet”. «La cucina è il mio palcoscenico – chiosa Norbert Niederkofler – fare il cuoco in televisione e in un ristorante non è la stessa cosa, sono due mestieri diversi. Bisogna solo scegliere cosa si vuol fare e chi si vuole essere. Sicuramente non deve mai mancare il rispetto per il cliente che spesso intraprende lunghi e faticosi viaggi per vivere un’esperienza. Rispetto che deve essere rivolto anche ai nostri collaboratori in cucina.

[ Norbert Niederkofler, ideatore del progetto “Cook the Mountain”, con i suoi collaboratori – © Marian Simion ]
Ai miei giovani colleghi consiglio di prendersi cura e tempo per crearsi una formazione classica. Avere una base forte e larga per riuscire a comprendere i prodotti che la natura ci regala e su questi, riuscire a creare dei piatti rispettosi e sostenibili. Il mio futuro sicuramente sarà la formazione. Mi diverto a stare in cucina, però il mio “focus” è sui giovani, vedere dove inserirli, come farli crescere. Spero tanto che la prossima generazione dell’alta cucina inizi a lavorare più insieme, senza invidie o battaglie. Con i ragazzi mi sono sempre trovato bene. Oltre quaranta di loro che hanno collaborato con me in passato sono diventati chef stellati. A pensarci mi viene la pelle d’oca! Con loro ho studiato dei menu in cui si utilizza tutta la materia prima, trovando il “break even point”. In Spagna ci si concentra sulla tecnica, nei paesi nordici la cucina non è cultura ma una geniale idea di business, mentre la cucina italiana è prodotto e cultura. Ma c’è il business nella cucina italiana? Sappiamo che molti ristoranti italiani stellati faticano a mantenersi. Certamente che c’è del business, un grande business. Ma noi sottovalutiamo gli affari che potremmo fare, siamo poco professionisti del business perché viviamo di pancia. È il nostro pregio ma anche il nostro difetto. Dobbiamo imparare a promuovere la nostra qualità, nella quale siamo i numeri uno, nel mondo. Anche per il futuro dei nostri giovani cuochi che devono essere aiutati nella loro crescita professionale anziché essere talvolta sfruttati».

[ Norbert Niederkofler fotografato con la sua “brigata” in Alta Badia (Alto Adige) – © Daniel Töchterle / “Alta Badia” Press Office ]
Su questi argomenti “spinosi” ha scritto un esaustivo articolo il giornalista e critico gastronomico trentino Nereo Pederzolli che, con la sua autorizzazione, propongo per ampli stralci: «Da mesi nel comparto del cibo più prelibato s’aggira uno spettro: il “fine dining” è morto? Per qualcuno una constatazione, per altri rimane l’interrogativo. Difficile comunque negare la crisi di un modello culinario ostentato da schiere di cuochi stellati. Cuochi protagonisti forse più nei programmi tv, sui social piuttosto che impugnando con sagacia le padelle dei loro ipertecnologici fornelli. Pronti a suggerire, platealmente, cotture estreme, preparazioni mirate a essere consumate con gli occhi, cibo da stupire, ammaliare anche il “gourmet” paziente e preparato. Alta ristorazione alle prese con ritmi di lavoro in cucine da incubo, umiliazioni di quanti “spadellano”, con una concezione militare della gerarchia gestionale.

[ L’organizzazione della cucina ai tempi di Escoffier – © Museo Escoffier dell’arte culinaria a Villeneuve-Loubet in Francia ]
Non a caso si definisce “brigata” la squadra che opera tra pendole, forni e marchingegni culinari. Razionalizzazione cucinaria, si potrebbe dire, impostata nientemeno che dal “padre nobile della cucina francese” Auguste Escoffier. Lui, ex capo cuoco dell’esercito imposta un sistema di lavoro pienamente di stampo militaresco.

[ Ritratto di Auguste Escoffier (1846-1935) – © Museo Escoffier dell’arte culinaria a Villeneuve-Loubet in Francia ]
Una scala gerarchica che sfrutta gli aiuti-cuoco, incaricati solo di svolgere banali quanto faticose primarie trasformazioni. Lasciando ai capi-partita, ai fidi assistenti dello chef tutto l’onore di servire pietanze esclusive in menù per palati fini. Spesso senza badare al rispetto del personale di cucina, carichi di lavoro stressanti – anche 12 ore di lavoro ogni giorno, per 6 giorni la settimana – con stipendi a dir poco indegni. Giovani aspiranti chef che subiscono queste celate angherie di molti “pluristellati” sperando solo di maturare un curricolo esperienziale, per poter aprire nel futuro un loro locale. Un sistema per certi versi assurdo, che lascia poco spazio al sogno di una cucina contemporanea impostata sulla sostenibilità a tutti i livelli. Fortunatamente i cuochi più visionari stanno davvero rivoluzionando non solo tecniche e modalità delle cotture, ma pure quelle inerenti il riordino delle “brigate” e soprattutto dei turni di lavoro, il rispetto delle esigenze di vita, le prospettive sociali, pure solidali ed ecocompatibili.

[ Lo chef N. Niederkofler e il ristorante “Atelier Moessmer N. Niederkofler” a Brunico (Bz) – © courtesy of Norbert Niederkofler” ]
Tra questi sicuramente una pattuglia di cuochi delle Dolomiti: da Norbert Niederkofler (indiscusso leader della cucina montanara) ad Alessandro Gilmozzi (protagonista della cucina di stampo vegetal/boschivo) poi Peter Brunel (ladino in gran spolvero sul Garda) e sicuramente Alfio Ghezzi, indomito innovatore, pronto a cimentarsi in variegate preparazioni, operando in location disparate, compreso un rifugio a quota 2000 verso la Marmolada.

[ Lo chef Alessandro Gilmozzi e il ristorante “El Molin” a Cavalese (Tn) – © courtesy of Alessandro Gilmozzi ]
Grandi firme, compreso Edoardo Fumagalli (Locanda Margon) che stimolano alcune decine di giovani trentini a migliorare l’approccio con la cucina di stampo artistico. Giovani come Matteo Delvai, ad esempio, allievo prima di Gilmozzi e ora inserito nella squadra di Niederkofler. Poi altri promettenti chef come Stefano Rossi (Lido Palace di Riva del Garda), Daniele Tomasi (Innesti di Pergine Valsugana), pure il duo Nicolò Avi e Mattia Putelli, quelli de “La Taola”, innovativo servizio gourmet a domicilio, un laboratorio gastronomico decisamente innovativo, tra pop e cucina d’assoluta creatività. Senza mai smarrire i legami con la consuetudine alimentare dolomitica. Tutti pronti a rilanciare la cucina, senza stravolgerne i valori. Stimoli dunque per un “fine dining” che nel futuro dovrà essere non solo originale, ma attento al rapporto con l’onestà dei prezzi, i valori più importanti o al pari dei sapori, per pietanze in sintonia con l’habitat. Servendo piatti salutari, “godosi”, cucinati da cuochi in piena sintonia con i loro allievi.

[ Lo chef Edoardo Fumagalli e la “Locanda Margon” a Ravina (Tn) – © courtesy of the “Ferrari f.lli Lunelli SpA” Press Office ]
Coinvolgendo pure il personale di sala, per la felicità della stessa clientela. E ancora: cibarie d’autore frutto di mirate iniziative di schietti “laboratori sensoriali”, per giungere a proposte di pranzi della quotidianità. Senza comunque tralasciare una quota di esclusività. Riservata a quanti possono permettersi di scegliere specifici posti stellati – per dirla con il linguaggio dei “gastrocritici” più autorevoli –“riservati ai potenti, oggetto del desiderio eterno delle classi medie emergenti”.

[ Lo chef Peter Brunel e il ristorante “Peter Brunel Ristorante Gourmet” a Arco (Tn) – © courtesy of Peter Brunel ]
Ma non sempre i potenti scelgono il ristorante di lusso. Mentre cresce la schiera dei consumatori più accorti, attenti al rapporto prezzo/qualità. Quelli che non possono permettersi soste stellate, pietanze da “fine dining”. Che alla fine cercano semplicemente una cucina da gustare in compagnia, cibo conviviale, nel piatto l’estetica in simbiosi con l’etica».

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