La ricostruzione fornita dai carabinieri, in base al racconto del giovane, parte dal percorso in automobile che la coppia stava facendo, quando ha incrociato il padre di Sanaa. I due ragazzi si sono fermati, e si sono messi a parlare con El Katawi Dafani, ma la discussione è degenerata e l’uomo ha aggredito la figlia con un coltello. De Biasio ha cercato di disarmare l’uomo, riportando ferite alle mani e all’addome, e poi è riuscito ad allontanarsi di qualche metro nel vicino boschetto e a lanciare l’allarme. Sanaa è invece stata colpita a morte: i sanitari del 118 l’hanno trovata agonizzante e i carabinieri, sopraggiunti subito dopo, l’hanno trovata già morta.
Sul padre della giovane pende l’ipotesi di reato di tentato omicidio e omicidio premeditato. El Katawi Dafani, 45 anni, è stato prelevato nella sua abitazione dai carabinieri della Compagnia di Sacile, che lo hanno accompagnato prima in caserma e poi nel carcere di Pordenone. Gli indizi che hanno portato al fermo sono ritenuti più che sufficienti, in quanto "forti e oggettivi", dai carabinieri. Al marocchino è stato assegnato un legale d’ufficio.
L’uomo ha indicato il luogo dove avrebbe gettato il coltello con il quale ha ucciso la figlia e ferito il fidanzato di lei. Il coltello non è ancora stato trovato, gli investigatori lo stanno cercando sotto la pioggia battente. Ma vi sono molti dubbi sull’indicazione fornita dal fermato relativa all’arma del delitto. El Katawi Dafani pare abbia giocato sulla sua scarsa comprensione della lingua italiana. Il fidanzato della giovane è stato ascoltato ieri notte dai carabinieri prima che entrasse nella sala operatoria dell’ospedale di Pordenone. Il pm del Tribunale di Pordenone che si occupa della vicenda è Alessandra Barra.
‘Un delitto orribile, disumano, inconcepibile, frutto di una assurda guerra di religione che è arrivata fin dentro le nostre case – ha commentato il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna – . Per questa ragione chiederò all’Avvocatura dello Stato di potermi costituire parte civile nel processo, non appena sarà iniziato’.
‘Casi terribili come questi ci inducono a proseguire la strada del ‘modello italiano’ nell’integrazione degli immigrati: ciascuno, in Italia, deve avere il diritto di professare la propria fede come crede, ma il Paese può accettarlo soltanto se questa è rispettosa dei diritti umani, compreso quelli delle donne, e delle leggi dello Stato’, aggiunge. La storia ricorda da vicino quella di Hina, la ragazza pachistana sgozzata e sepolta nel giardino di casa l’11 agosto 2006 a Sarezzo nel bresciano perché voleva vivere all’occidentale.