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Partite IVA: a febbraio ci sono state 50mila nuove aperture

La maggior parte delle nuove aperture si è verificata al Nord (43% del totale), soprattutto nel settore del commercio


NordEst – Sono 50.915 le nuove partite Iva aperte nel mese di febbraio. Rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, si è registrato un lievissimo calo, pari al 0,7 per cento. E’ quanto emerge dai dati dell’Osservatorio sulle partite Iva pubblicati dal ministero dell’Economia che, tra le altre cose, rileva come le nuove aperture siano state fatte, prevalentemente, da persone fisiche (72,7 per cento del totale). Le società di capitali, invece, ammontano al 20 per cento, mentre le società di persone al 6,7. C’è anche una quota di cosiddetti non residenti, o che figurano in altre categorie giuridiche, ma rappresentano solamente lo 0,6 per cento dell’ammontare complessivo.

Tra tutte, quelle in cui si osserva un aumento significativo rispetto all’anno scorso sono le società di capitali, in crescita dell’11,5 per cento rispetto al 2013. Le società di persone, invece, calano del 13,9 per cento, mentre le aperture effettuate da persone fisiche sono in calo del 2,3. La maggior parte delle nuove aperture si è verificata al Nord (43 per cento), mentre la differenziazione per settore produttivo fa emergere una preminenza del commercio (23 per cento del totale) seguito dalle attività professionali (16 per cento) e dall’edilizia (9,5).

Aumentano, inoltre, del 6,4 per cento le partite Iva in regime fiscale di vantaggio; a febbraio, sono state 14,867 le nuove.

Le adesioni al regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità in questo mese sono state 14.867, con un moderato aumento rispetto al febbraio precedente(+6,4%). Il regime limita per cinque anni l’imposta dovuta al 5% degli utili dichiarati, esonerando da Iva ed Irap.

Il ministero comunica, infine, che negli ultimi vent’anni è emerso come, ogni anno, siano molte di più le partite Iva che aprono, rispetto a quelle che chiudono: “le chiusure rappresentano circa il 70-80 per cento del numero delle aperture; ciò dipende dal fatto che al momento della cessazione dell’attività spesso i contribuenti non adempiono all’obbligo di chiusura”.

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