di Annalisa Borghese
È storia e simbolo di trasformazione. Lo è da sempre, da prima del cristianesimo. Lo era già per gli ebrei, per i greci e per quelle popolazioni che vivevano in contatto con il ciclo della Natura onorandola come maestra di vita.
Fra questi i celti che veneravano la dea Easter (in inglese Easter significa appunto Pasqua), e la festeggiavano in coincidenza con l’equinozio di primavera che rappresenta la riinascita per antonomasia dopo il lungo letargo invernale. Come dire che buio e silenzio sono necessari per rinascere.
Nelle ristrettezze di questo periodo anche chi non ha un giardino e neppure un balcone, può forse ugualmente godere della vista di un vasetto fiorito da tenere in un angolino della cucina o della stanza dove passa la maggior parte del tempo. Basta un vasetto per osservare la pazienza del seme, il coraggio delle radici e la fiducia del fiore che sboccia a suo tempo. Anche noi siamo semi. E possiamo rinascere.
Ce lo ricorda con umiltà don Luigi Verdi, fondatore della Fraternità di Romena. Un prete che, a differenza dell’apparato ecclesiasico, parla un linguaggio inclusivo che è poi quello della vita.
Da ascoltare assaporando una tisana di primula, il fiore della Pasqua, himmelschlüssel in tedesco ovvero la “chiave del cielo”.