In realtà solo 2 musei su circa 400 avrebbero le carte in regola per “rinnovarsi”
Trieste – In questi giorni la stampa locale dà un grande risalto alla riorganizzazione del sistema museale a cui la Regione Friuli Venezia Giulia, attraverso l’assessore alla cultura Gianni Torrenti, sta lavorando dal 2015. L’articolo si intitola “Al via la rivoluzione dei musei” e in effetti chi opera in questo ambito sa bene che per uscire da una situazione di crisi che si sta facendo sempre più grave – soprattutto per la diminuzione di organici e di risorse finanziarie – ci vuole proprio una vera e profonda rivoluzione.
Torrenti assicura che l’indirizzo preso dalla nostra Regione, cioè quello di obbligare i musei ad adeguarsi agli standard, è pienamente in linea con quello che sta facendo il Ministero dei beni culturali a livello nazionale. A cui l’assessore partecipa direttamente come coordinatore della Commissione cultura della Conferenza delle Regioni.
Il problema è di notevoli proporzioni. Su 400 musei regionali solo 2 avrebbero le carte in regola, il Museo Revoltella di Trieste e i Civici Musei di Udine. Gli altri, 398 o giù di lì, sembrano in possesso di requisiti non sufficienti.
Maglie troppo strette?
Anche se può sembrare inverosimile, il dato è invece abbastanza realistico. Risale al 2001 infatti l’ Atto di indirizzo del Ministero per i beni culturali sui criteri tecnico scientifici e sugli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei e quasi tutte le Regioni italiane, a cominciare da Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, ecc. ecc. – ma non il Friuli Venezia Giulia – hanno provveduto abbastanza rapidamente ad adeguare la loro legislazione e a imporre agli istituti che volevano entrare nel novero dei musei classificati di raggiungere gli standard che avrebbero permesso di operare secondo regole che vigono a livello internazionale.
Che cosa vuol dire essere in regola con gli standard?
Poche cose, tutto sommato. Proviamo a elencarne qualcuna. Non può essere considerata museo una collezione di oggetti che non sia studiata e organizzata secondo criteri scientifici, che non sia visibile al pubblico per meno di 24 ore settimanali, che non abbia personale esperto delle collezioni, che non faccia visite guidate, che non metta a disposizione i cataloghi delle sue raccolte, che non abbia sufficienti strumenti di comunicazione col pubblico (spiegazioni, audio-guide), che non garantisca la sicurezza degli oggetti e dei visitatori, che non fornisca anche altri servizi (la biblioteca, ad esempio, il bookshop).
(Lasciamo stare la comunicazione online e social che è ancora agli albori.)
Insomma gli standard dovrebbero rappresentare il minimo che troverà a disposizione una persona che varchi la soglia del museo e acquisti un biglietto.
Ma nella nostra regione, dove persino nei musei molti nemmeno sanno che esistono gli “standard museali”, non si è mai posto il problema né si è mai verificato seriamente che fossero attuati. E nessuno ha impedito che sorgessero nuovi musei privi di molte di queste caratteristiche.
Questa situazione di mancato controllo dura da quindici anni e, poiché la Regione Friuli Venezia Giulia ha comunque assicurato il suo contributo annuale a tutti, “sembra” che tutto sia a posto e nessuno si preoccupa più di tanto se un museo si apre solo due mattine alla settimana, se non produce cataloghi delle collezioni, se non c’è nessuno in grado di fare una guida in inglese. Se poi entrano solo due-tre visitatori al giorno (con un incasso di 10 euro contro una spesa di 100 euro di luce e riscaldamento…), pazienza. Non se ne accorge nessuno.
Di chi è la responsabilità? In buona parte degli amministratori, che, sull’onda delle mode culturali imperanti, da ben prima che uscisse l’atto di indirizzo ministeriale hanno via via sostituito l’attività museale vera e propria con l’organizzazione di mostre temporanee, che hanno sottratto risorse sia umane che finanziarie.
Ma anche i tecnici non sono esenti da colpe. Nel mondo dei musei c’è una lunga consuetudine a disgiungere il proprio lavoro quotidiano dal prodotto finale, che è pur sempre, la partecipazione del pubblico. Ben pochi conservatori dei musei pubblici si occupano dei flussi di visitatori, delle loro motivazioni, delle loro lamentele. Né pensano che il loro lavoro sia collegato a questo problema.
Per cui, pur confortati dalla costanza con cui l’assessore Torrenti persegue l’attuazione della sua riforma e il posizionamento del Friuli Venezia Giulia tra le regioni virtuose (e pensare che il dopo-terremoto in Friuli è stato considerato anche nel campo dei beni culturali un modello da imitare!) noi non pensiamo che riuscirà facilmente a smuovere questa situazione di stallo.
Giustamente lui sottolinea che sarà la distribuzione dei finanziamenti lo strumento con cui la Regione cercherà di persuadere le amministrazioni civiche a investire in innovazione e qualità per i servizi museali. Ma c’è da fare una rivoluzione “mentale” prima ancora che legislativa e forse anche pensare all’innesto di giovani negli organici, che svecchino e sveglino un mondo che lavora coi ritmi di trent’anni fa.
Maria Masau Dan
già direttrice del Museo Revoltella e dei Musei civici di Trieste