Nel 2010 il mercato del lavoro trentino evidenzia segnali incoraggianti rispetto agli anni precedenti anche se – come spiega il presidente dell’Agenzia del lavoro, Michele Colasanto – è ancora presto per parlare di ritorno alla “normalità”: il tasso di disoccupazione è del 4,4% (quello femminile del 5,3%) con un aumento di 0,8 punti percentuali.
Sono i dati l’elemento da cui è partito il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai: “Il loro rigore è la base del nostro lavoro e ci evita la tentazioni di cadere in isterismi. La Finanziaria 2012 – ha assicurato il presidente Dellai – avrà le risorse necessarie ma soprattutto conterrà gran parte degli elementi esposti stamattina per garantire la crescita al Trentino. Se vogliamo mantenere l’attuale qualità della vita dobbiamo crescere.
La crisi attuale non ci lascia scelte, così come dobbiamo ricreare le condizioni per un nuovo patto con i giovani, partendo da misure concrete quali, ad esempio, l’apprendistato”. “Dal documento sull’occupazione emerge che il Trentino sembra reggere la crisi economica, ma attenzione – aveva illustrato poco prima il presidente Michele Colasanto – non si può ancora parlare di inversione di tendenza”.
Piuttosto il Trentino sta attraversando una fase di transizione dallo stadio più acuto della crisi: i fattori di ripresa, ad incominciare dalla domanda di lavoro, sono incoraggianti, ma in Trentino questi convivono con “perduranti zone d’ombra che mantengono ancora elevati i numeri delle cessazioni di lavoro e della disoccupazione, richiedendo un forte sostegno pubblico in funzione di sostegno ai soggetti colpiti dalla crisi”. I fattori positivi fatti registrare lo scorso anno comprendono l’aumento del 2% del Pil, del Terziario (2 %), dell’Industria (2,7%) e, soprattutto, del manifatturiero (18,2%). Anche l’occupazione cresce: 3 punti percentuali che valgono 4 mila posti di lavoro, soprattutto maschi e di nazionalità straniera. Continua invece a preoccupare la crisi dell’edilizia e del porfido, il calo dell’agricoltura (-1,4%) e, soprattutto, il calo dell’occupazione giovanile (15-24 anni) che perde in un anno circa mille posti di lavoro a fronte degli over 55 anni che invece vedono aumentare le assunzioni.
Il 26° Rapporto sull’occupazione in provincia di Trento consegna un quadro di insieme positivo in cui però si devono innestare interventi mirati per sostenere e favorire nel medio periodo la ripresa economica in maniera strutturale. Il primo ad esserne consapevole è il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, che assicura la platea di imprenditori, sindacati e rappresentanti della società civile e dell’economia: “Buona parte degli elementi emersi oggi sono recepiti dalla legge finanziaria 2012. Dobbiamo puntare alla crescita economica per garantire l’attuale qualità della vita.
E dobbiamo farlo partendo dal rigore dei dati, senza isterismi. Dallo studio sono usciti punti di debolezza e punti di forza, in questo senso la nostra autonomia sarà uno strumento in più per agire ma non uno scudo contro le difficoltà di un intero sistema economico”. Su questo punto, il presidente Dellai ha rilanciato due temi a lui cari: “Il nostro lavoro deve favorire investimenti in progetti e settori in grado di garantire innovazione e qualità del prodotto, oltre a portare ulteriore valore economico”. L’ultimo tema toccato dal presidente Dellai ha riguardato i giovani: “Dobbiamo rivedere il patto con loro, andando a trovare soluzioni e strade nuove, in grado di mettere le imprese nelle condizioni di maggiore responsabilità e le future generazione nella condizioni di esprimere il loro potenziale”.
Dati economici
Tornando alla presentazione del Documento sull’occupazione in Trentino, gli elementi di ripresa del mercato lavorativo si inquadrano in un contesto economico che, a fronte dell’1,3% nazionale e del 2,1% del Nord Est, dopo un biennio di tensione, vede tornare a crescere il Pil del 2,0% anche in provincia di Trento, per la prevalente la spinta delle esportazioni estere. In termini di valore aggiunto l’industria, nonostante il cattivo andamento delle costruzioni e dell’estrattivo, mette a segno una crescita del 2,7%. Il terziario (+2,0%) contribuisce alla ripresa in maniera più incisiva di quanto accada nel resto del territorio nazionale (+1,0%) e dei territori limitrofi (+1,6% nel Nord-Est), mentre il settore agricolo è l’unico a denunciare un arretramento rispetto al 2009 (-1,4%). Una ripresa trainata dunque principalmente dal manifatturiero che rispetto al 2009 fa registrare un incremento nel valore della produzione pari al 18,2% e del fatturato pari al 13,7%, contribuendo a sostenere la ripresa delle assunzioni.
La ripresa delle assunzioni delle imprese?
Su questo fronte, dopo due anni, la dinamica torna in positivo, con l’attivazione di 134.040 rapporti di lavoro, quasi 4.000 in più rispetto all’anno precedente, per una crescita del 3,0%. “La ripresa degli avviamenti – avverto il presidente dell’Agenzia del lavoro, Michele Colasanto – è peraltro accompagnata da un incremento delle cessazioni, che dà luogo ad un saldo ancora leggermente negativo (-323 unità), ma indubbiamente assai più ridotto rispetto al dato dell’anno precedente, quando le uscite prevalevano sulle entrate per più di 3.000 unità”. All’incremento della domanda di manodopera contribuiscono sia il secondario che il terziario (l’agricoltura risulta invece in modesta flessione), con una crescita di avviamenti rispettivamente del 16,4% e dell’1,6%. Tuttavia, mentre il secondario mostra ancora una situazione complessa, con le uscite che continuano a superare le entrate (il saldo è negativo per circa 1.000 unità), nel terziario le assunzioni superano le cessazioni e il saldo torna positivo.
A beneficiare maggiormente delle nuove condizioni di mercato sono le assunzioni dei lavoratori di sesso maschile che crescono di 3.462 unità (+6%). Il buon andamento del secondario trascina anche le assunzioni femminili che nel complesso crescono di 493 unità rispetto al 2009 (+0,7%). Nessun apporto positivo per le donne proviene invece dal terziario, dove le lavoratrici perdono circa 300 posizioni lavorative a fronte di un aumento superiore alle 1.800 unità per i maschi .
Un ulteriore elemento che qualifica la dinamica dell’anno è l’importante ripresa delle assunzioni straniere che, dopo la forte caduta del 2009, arrivano ora a rappresentare un terzo degli avviamenti complessivi. Delle circa 4.000 assunzioni aggiuntive, 3.300 sono andate a lavoratori stranieri, che si sono così riportati al livello del 2008.
In un contesto di generale recupero, a perdere posizioni sono ancora i più giovani. Tra i 15-24enni si registra un calo di circa 1.000 posizioni lavorative che si aggiunge a quello del 2009 (-3.900) e del 2008 (-2.700). Al contrario i soggetti più anziani (55 anni e oltre) sembrano non risentire della contrazione della domanda di questi anni, così – dopo modesti incrementi nel 2008 e 2009 – nel corso del 2010 vedono crescere le assunzioni di circa 1.100 unità.
Sul fronte delle dinamiche contrattuali del flusso annuo delle assunzioni, spicca l’avanzata del lavoro a termine che copre 3.400 delle 4.000 assunzioni aggiuntive. Il lavoro a termine cresce del 2,9% rispetto all’anno precedente, ma quasi esclusivamente in seguito all’exploit nel secondario, dove raggiunge il +20%. Anche il tempo indeterminato, dopo il crollo del 2009, recupera più di 500 posizioni (+4,8%) ma va sottolineato che due terzi dell’incremento è da attribuire al contratto intermittente o a chiamata. Inoltre la crescita si deve esclusivamente alle dinamiche interne al terziario, mentre nel secondario i numeri del lavoro a tempo indeterminato sono rimasti immutati. Sempre in tema di flessibilità, si assiste ad un recupero sul fronte del tempo parziale che, con circa 1.500 nuove assunzioni (+5,1%) recupera le perdite degli anni precedenti e rafforza il proprio peso sulle assunzioni complessive, passando dal 21,1% del 2007 al 23,3% del 2009, fino all’attuale 23,7%.
Un altro fenomeno che interessa la qualità dell’occupazione riguarda la dinamica delle professionalità, che nel 2010 a fronte della crescita generalizzata delle figure di quasi tutti i gruppi professionali, evidenzia il calo, dopo però un biennio di forte aumento, della domanda di dirigenti e di professioni specializzate. In questo periodo di lenta ripresa le imprese sembrano recuperare seppur solo in parte sulle professioni di tipo non qualificato che nel pieno della crisi avevano pagato il prezzo più elevato in termini di esuberi. Per effetto delle citate dinamiche, l’insieme delle professioni high-skill che nel 2007, anno pre-crisi, pesavano per il 16,8% sul complesso delle assunzioni, incidono nel 2010 per il 17,9% (proprio perle dinamiche positive rilevate nel 2008 e 2009); le professioni low-skill pesano ora per il 43,7%, circa un punto percentuale e mezzo in meno rispetto al dato del 2007.
Il quadro del mercato del lavoro dai dati ISTAT
L’intero quadro occupazionale trentino, fotografato dai dati dell’ISTAT (indagine continua sulle forze di lavoro), rileva per la popolazione dei 15-64enni un forte incremento dell’area dell’inattività (+1.900 unità), nonché del numero di soggetti in cerca di occupazione, a fronte di un numero di occupati rimasto sostanzialmente fermo ai livelli dell’anno precedente.
Gli occupati difatti calano di 100 unità, mentre crescono assai più dell’anno prima i soggetti in cerca di lavoro (+2.000, pari a circa +25%). La diversa dinamica di crescita della popolazione e della componente occupata determina inoltre una flessione del tasso di occupazione che, dopo un lungo periodo di crescita, scende di 0,6 punti percentuali rispetto al valore del 2009, attestandosi al 66,0%.
Gli spostamenti per settore di attività sono minimi: cresce di circa 500 unità l’occupazione in agricoltura, di 100 nel secondario (ma +900 nel manifatturiero e -800 nelle costruzioni), mentre cala di 300 nel terziario. Da segnalare come il lievissimo incremento di occupazione nel secondario interrompa il calo rilevato nel biennio precedente, mentre la flessione di 300 lavoratori nel terziario segue i fortissimi aumenti rilevati tra il 2008 ed il 2009.
Nel corso del 2010 si assiste anche ad una riduzione del peso dell’occupazione autonoma, che passa dal 21,5 al 21,1% del totale. Peraltro, a conferma dei dati amministrativi sugli avviamenti, quasi tutta la crescita dell’occupazione alle dipendenze è riconducibile a rapporti a termine, cosicché rispetto al 2009 risulta accresciuto il grado di instabilità, soprattutto nel secondario e in particolare per la componente maschile, che sotto questo profilo vede così ridursi la forbice che la divide dalla condizione delle lavoratrici.
Le note negative si concentrano prevalentemente sul fronte della disoccupazione, dove si assiste ad un incremento del tasso di 0,8 punti percentuali, che raggiunge il valore del 4,4%. In valori assoluti le persone in cerca di lavoro dalle 8.300 unità del 2009 crescono fino alle 10.300 del 2010, con una variazione del +24,1%. La quota più significativa di disoccupati è rappresentata da coloro che hanno perso una precedente occupazione, cioè i disoccupati in senso stretto, con un’incidenza del 51,4%.
L’incremento delle persone in cerca di lavoro è sostenuto dalle dinamiche della componente straniera, che rappresenta la metà dei 2.000 disoccupati aggiuntivi, e coinvolge prevalentemente il sesso maschile che, in soli tre anni è passato a rappresentare dal 37,3% al 47,6% dei disoccupati complessivi. Le donne, oltre a scontare una posizione storicamente meno favorevole, con un tasso di disoccupazione che si attesta al 5,3%, risultano più esposte sul fronte della disoccupazione di lunga durata, che coinvolge quasi tre disoccupate su dieci.
I movimenti più significativi rispetto alla situazione del 2009 si registrano nell’ambito delle fasce estreme della popolazione. I giovani (20-24 anni) accentuano il proprio distacco nei confronti del mercato del lavoro evidenziando un calo partecipativo nell’ordine di circa tre punti percentuali, che si accompagna ad un calo del tasso d’occupazione di 4,7 punti, attestatosi al 47,2%. Parallelamente cresce di oltre quattro punti percentuali il loro tasso di disoccupazione, che nel 2010 raggiunge il valore 12,4%, con il consueto divario di genere che conferma una maggiore sofferenza delle giovani donne.
Sul fronte opposto i più anziani (55-64enni) manifestano livelli crescenti di partecipazione, associati a risultati occupazionali in aumento (più tre punti percentuali rispetto al 2009).