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Trento, Addio a Samuele Scalet

La scomparsa di Scalet – Venerdi’ era uscito di casa per compiere un’escursione nella zona del rifugio Bindesi, vicino a cima Marzola, poco distante da Trento. E’ stato ritrovato senza vita. L’esperto alpinista primierotto, aveva 70 anni e diverse vie al suo attivo. La sua ultima salita non è stata sulle sue splendide Pale di San Martino, ma su una piccola montagna di Trento. Lui che conosceva ogni angolo delle sue montagne, ha perso la vita a pochi passi dalla città dove abitava da tempo. Nel suo cuore però, c’erano le Pale e la Val Canali da dove proveniva. Era un profondo conoscitore del Gruppo delle Pale sulle cui pareti ha aperto numerose vie.

Il ritrovamento – E’ stato trovato morto dopo due giorni di ricerche l’esperto alpinista originario di Primiero, disperso in montagna. Samuele Scalet, 70 anni, ammalato da tempo, venerdi’ era uscito di casa – come da sua abitudine – per compiere un’escursione nella zona del rifugio Bindesi, vicino a cima Marzola poco distante da Trento. In serata, non avendolo visto rientrare, i familiari hanno avvertito il soccorso alpino. Dopo numerose ricerche con un centinaio di uomini impegnati, Scalet e’ stato trovato morto e il corpo era nascosto dalla fitta boscaglia.  

Chi era –
Non un alpinista qualunque ma Accademico del Cai, laureato in matematica e grande appassionato degli sport di montagna. Praticava anche parapanedio e windsurf. Di recente, autore della Guida Camminare nelle valli di Primiero, San Martino, Pale di San Martino, Rolle e Vanoi. Durante la realizzazione di questa serie di itinerari, aveva percorso tutti e 118 gli anelli descritti a piedi. L’alpinismo primierotto piange la scomparsa di un grande uomo della montagna che aveva scritto pagine importanti della sua terra a cui era strettamente legato da un doppio nodo.

Una guida sulle Pale –  Con altri colleghi delle Aquile di San Martino, nel 2002 aveva scritto tra l’altro una completissima Guida alpinistica ed escursionistica, aggiornata, delle Pale di San Martino. Tutte le vie erano state descritte con schizzi e relazioni.

Il ricordo di Samuele Scalet
da un suo articolo del 2001

I chiodi

"Quello dei chiodi posso considerarlo un affare di famiglia. Mio bisnonno aveva una piccola officina vicino al torrente, poco a valle degli altoforni per la fusione del minerale di ferro, in via Forno a Transacqua. Produceva soprattutto martelli e tenaglie, chiodi grandi e quelli piccoli che si chiamavano broche. Tutto era fatto rigorosamente con il maglio e poi rifinito a mano. Quando chiusero le miniere, l’officina divenne un mulino, ma un certo numero di casse rimase tanto a lungo che potei esplorarle e farmi un piccolo campionario personale di cui ero gelosissimo.

Erano chiodi bellissimi, ognuno con la propria testa, il corpo e qualche particolare che lo rendeva unico. Il più sottile di tutti mi faceva sempre venire in mente un compagno di classe che tutti dicevano che era magro come un chiodo, però era intelligente e simpatico. Anche i chiodi, come tutti gli oggetti, per usarli bene bisogna conoscerli. Con la guida di mani esperte imparai a sceglierli, a piantarli senza spaccare il legno, senza piegarli, a ribadirli dove serviva, a levarli e raddrizzarli per poi rimetterli al loro posto.

Già, è pericoloso lasciarli in circolazione, magari con le punte scoperte rivolte all’insù, o perderli per strada, così passa un ragazzino che ha subito un’alzata d’ingegno, li raccoglie e comincia a rigare le fiancate belle luccicanti delle macchine in sosta. A qualcuno particolarmente acuto potrebbero venire delle idee ancora più brillanti, però il male non si può eliminare nascondendo i chiodi, ma lavorando sulla coscienza delle persone.

Poi un giorno la nonna disse che il nonno aveva un chiodo fisso. Io pensai che si trattasse di un chiodo che non riusciva a levare, ma non tardai a capire che si parlava di una cosa completamente diversa e che l’unica cosa che aveva in comune con i chiodi normali era il fatto di essere difficile da togliere. Anche dei chiodi mentali, e forse di più, si può dire che sono come quelli fatti a mano, tutti diversi, in parte buoni e in parte cattivi e, dato che sono già nascosti nella testa della gente, è impossibile nasconderli altrove. La vera padrona che li tiene sotto controllo è la coscienza.

L’esperienza con i chiodi cominciò a diventare veramente interessante appena iniziai a fare le prime scalate in montagna. Con dei sudatissimi risparmi comperai una corda di canapa, dei moschettoni, un martello ed alcuni chiodi da roccia, forse cinque di diversa misura e nascosi tutto in soffitta. Il mio amico Aldo ed io studiammo con curiosità le varie forme a lama, l’anello e le diverse dimensioni per sfruttare bene le fessure della roccia. Finalmente venne il giorno buono per usarli, ma il primo chiodo che incontrammo in montagna era già stato piantato da altri. Anzi ce n’erano due vicini collegati con un anello di corda.

Era il segno sicuro che eravamo arrivati ad un punto di sosta e che eravamo sulla strada giusta. Fu un vero momento di gioia: altri erano passati di là prima di noi e avevano lasciato un segno. Più avanti accadde che si ruppe un appiglio e piombai giù per qualche metro finché il chiodo mi trattenne. Probabilmente quel chiodo mi salvò la vita. Ne usammo anche per la discesa come ancoraggi delle corde doppie. Quando arrivammo alla base non ne avevamo più. Si potrebbe discutere all’infinito se è meglio fare una via con tanti o con pochi chiodi. Cambiano la sicurezza ed il senso d’avventura che sono il sale ed il pepe dell’alpinismo.

E se vogliamo ingarbugliare un po’ la matassa diciamo che i chiodi si possono mettere soltanto dove ci sono delle fessure, che non sempre ci sono, mentre gli spit sono dei chiodi speciali che con un trapano o a mano possono essere fissati dove si desidera. L’etica che riguarda il loro uso conduce direttamente ad una discussione intorno al valore della vita e dell’avventura che fa parte della sfera d’influenza della coscienza di ciascuno.

Giocando con le parole e saltando di palo in frasca, si vede che l’etica dell’andare a tutto chiodo è quella appena vista, mentre essere inchiodati è l’esatto opposto. Congiungendo i due, nasce chiodo scaccia chiodo che, pur essendo un segmento nullo, completa il famoso triangolo dei chiodi. Tutti sanno che i veri specialisti dei chiodi sono i carpentieri, tuttavia sia a chiodi normali che a chiodi fissi gli alpinisti non li batte nessuno perché hanno il chiodo fisso dei chiodi.

La cosa più straordinaria che si possa dire dei chiodi è che vi sono persone capaci di piegarli con il pensiero.
La cosa più bella è invece che quando una persona è arrivata alla fine della sua carriera, quello che possiede di più caro, l’oggetto a cui è più affezionato lo appende al chiodo. Roba da chiodi!"

Samuele Scalet 

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