di Annalisa Borghese
La questione è culturale e il problema è creato da un pensiero millenario che tutto separa, oppone, mette contro. Eppure, quando parliamo, diciamo “giorno e notte, sole e luna, cielo e terra, maschile e femminile”. Lo diciamo, ma nel pensiero la congiunzione crea un’alterità che cambia le cose. E di fatto prevale l’opposizione.
Oggi, però, lo sappiamo che questo pensiero è fasullo, frutto di un livello evolutivo che possiamo superare.
Le scoperte della fisica quantistica avallano ciò che le antiche tradizioni sapienziali hanno sempre sostenuto e cioè che tutto è uno. E nel caso del maschile e del femminile, intese come energie universali necessarie entrambe per generare la vita in ogni sua forma, è facilmente verificabile.
Donne e uomini siamo impastati di queste energie, sia pure in misura diversa (questa almeno non quantificabile), ma non sono divisibili. Non si possono separare. Impastati cioè a tutti i livelli: fisico, emotivo, mentale e spirituale. E se un uomo è di solito prevalentemente maschile a livello fisico e mentale, è prevalentemente femminile a livello emotivo e spirituale. Viceversa per una donna. In questo senso maschile e femminile sono un tutt’uno con ciò che siamo.
Se dunque una preside, come è accaduto di recente, scrive una circolare indirizzata alle ragazze invitandole a non indossare la minigonna perché sennò l’occhio cade lì, il linguaggio che usa è l’ennesima conferma di una cultura sessista che, alimentando la dicotomia femminile-maschile che l’ha generata, alimenta il problema.
Nel caso dell’abbigliamento è una questione di stile cioè della capacità di saper scegliere l’abito giusto per un determinato luogo. Si potrebbe definirla una forma di intelligenza sociale: ho la libertà di indossare una super mini, ma non lo faccio perché sto andando a scuola. La indosserò in un’altra occasione. Stesso discorso vale per le infradito e le canotte da spiaggia. Che le indossi un ragazzo o una ragazza, è una questione di stile.
Ho la libertà di indossare una supermini, sono nel posto giusto e scelgo di indossarla perché mi piace. Questa libertà, però, manca. Non ce l’abbiamo. Il presupposto per conquistarla è il riconoscimento interiore, prima ancora che nell’altro, delle due energie primordiali che ci abitano e che, pur nella differenza, non sono mai contro.
Semplificando e generalizzando, una donna che fatica a riconoscere il suo maschile probabilmente mancherà di autonomia, di una direzione nella vita così come un uomo che nega il suo femminile rinuncia ad una gamma di emozioni che lo arrichirebbe e difficilmente saprà che cosa significa prendersi cura di qualcuno.
Questa volta una proposta musicale: Ludovico Einaudi, “Divenire”, 6’43’’ insieme ad una tisana di sambuco, ideale in autunno.