Prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria
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NordEst – Il 9 ottobre 1963 un’enorme frana precipita dal monte Toc nelle acque della diga del Vajont. Un’ondata alta 200 metri travolge immediatamente i paesi vicini: Longarone, Rivalta, Pirago, Villanova, Faè, Erto, Casso, Castellavazzo sono ridotti a cumuli di macerie e di fango.
Muoiono 1910 persone, migliaia sono i senzatetto. I Vigili del Fuoco lavorano ininterrottamente per settantadue giorni, salvando la vita di oltre settanta persone e recuperando i corpi delle vittime.
Il disastro del Vajont
Fu l’evento occorso la sera del 9 ottobre 1963 nel neo-bacino idroelettrico artificiale deltorrente Vajont, a causa della caduta di una colossale frana dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del sottostante e omonimo bacino lacustre alpino realizzato con l’omonima diga. La conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, e il superamento della diga, provocarono l’inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di ben 1 917 persone.
Il disastro causato dalla frana coinvolse anche Erto e Casso, cittadine geograficamente opposte a Longarone, vicino alla riva del nuovo lago artificiale del Vajont dopo la costruzione della diga. L’onda si divise in due, e la parte meno disastrosa corse verso monte in zona Erto – Casso e località minori nel percorso, opposta a quella che precipitò nella stretta vallata e investì Longarone ove procurò la maggior parte delle vittime.
La tragedia, dopo numerosi dibattiti processi e opere di letteratura, può ricondursi alla negligenza dei progettisti e della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono e coprirono la non idoneità dei versanti del bacino; dopo la costruzione della diga fu scoperto che essi infatti avevano caratteristiche morfologiche tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico, vale a dire l’incoerenza e la fragilità dei versanti del Monte Toc. Nel corso degli anni l’ente gestore e i loro dirigenti, pur a conoscenza della pericolosità, peraltro supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro conoscenza, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.