I big dell’industria orafa intervistati nel documentario di Klaus Davi
Vicenza – In un Paese in cui secondo l’Istat la disoccupazione giovanile raggiunge il 40%, i ‘bamboccioni 2.0’ rifiutano di fare gli artigiani. A lanciare l’allarme sono i big dell’industria dell’oro, intervistati nel documentario di Klaus Davi, in occasione della Fiera VicenzaOro.
In concomitanza con l’evento è stato fatto un sondaggio fra 100 imprenditori, secondo il quale per il 35% questo mestiere rischia di ‘scomparire entro 10 anni’. Addirittura il 65% degli imprenditori intervistati segnala ”le gravi inadempienze di Stato, Regioni e istituzioni varie sul tema della formazione”. L’assenza di una cultura della formazione, dice lo studio, “diventa un implicito aiuto a chi vuole distruggere questo settore manifatturiero” per il 45%.
“In che cosa può aiutare lo Stato? Nel dare una mano a formare le giovani generazioni. I giovani non ci credono più, non pensano che facendo l’artigiano ci sarà un futuro per loro”. A parlare è Bruno Crivelli (fondatore della piemontese Crivelli Gioielli di Alessandria), che segnala il problema del ricambio generazionale: “Un aiuto concreto potrebbe arrivare dalle istituzioni facendo ricredere i giovani nelle potenzialità di questo lavoro, come ci credevamo noi alla loro età”.
Anche Pasquale Bruni (a capo dell’omonimo marchio di gioielli) è della stessa idea: “La politica non crede nei giovani, è questo il punto. Se ci credesse dovrebbe aiutarci a salvaguardare e formare le generazioni future. Io stesso ne ho formati diversi e ho creato una piccola scuola interna nella nostra azienda interna. Per fare una cosa simile oggi invece dobbiamo fare mille pratiche burocratiche”.
Per Rocco Pizzo (Leo Pizzo spa, azienda piemontese di Valenza che da 45 anni crea gioielli artigianali di alta gamma), “i giovani bisogna formarli, bisogna avere il tempo e i soldi per istruirli: per esempio, se lo Stato aiutasse le aziende nel formare sarebbe un grandioso aiuto; quando formiamo un giovane infatti rischiamo di perderlo perché non siamo tutelati”.
“Sicuramente c’è stato un grave declino per la nostra professione”. Non ha dubbi Enrico Fabris (amministratore delegato dell’azienda vicentina Chiampesan Fabris Gioielli), secondo cui “è come se il nostro lavoro avesse perso di appeal: per il futuro vedo una grave carenza di personale formato”. “La totale assenza della scuola nel formare la cultura manifatturiera è una grave lacuna solo italiana. In Svizzera i ragazzi frequentano le più importanti aziende di orologi sin dai 14-18 anni, mentre da noi viene considerato tempo perso. In questo modo l’Italia sta perdendo il proprio patrimonio produttivo-culturale”, afferma Giuseppe Gullo, amministratore delegato Stefan Hafner (gruppo Leading Italian Jewels basato a Valenza).
Sulla stessa linea Luca Palmiero (Palmiero Jewellery Design): “E’ difficile trovare personale giovane ancora disposto alla manualità, si sono più diretti al marketing, alla tecnologia e alla comunicazione. Sarebbe bello che lo Stato italiano desse un input ai giovani verso il nostro settore”. “La formazione nel nostro lavoro è fondamentale, così come il tramandare le conoscenze del mestiere. Chiediamo quindi alle istituzioni, alle Regioni, un aiuto importante a questo settore trainante dell’economia”, questo l’appello di Giordana Giordini, presidente sezione Orafi Confidustria Toscana Sud.
Licia Mattioli (fondatrice di Mattioli Gioielli) è convinta che “i problemi si possono affrontare facendo squadra. E questo è uno dei temi in cui le sinergie con le istituzioni possono funzionare. La formazione è ancora un problema, perché le scuole tecniche non vengono pubblicizzate nel modo giusto. Come è accaduto per la professione dello chef, se si spiegasse ai giovani che possono diventare i nuovi Benvenuto Cellini avremmo più ragazzi che fanno questo mestiere”.
Ci sono anche pareri più ottimisti. Roberto Coin, proprietario dell’omonima azienda veneta di gioielli, ritiene di non aver mai avuto problemi di giovani e che i suoi ragazzi sono molto affezionati al mestiere. Secondo Fabio Godano (ceo di Alfieri & St John), “se ci fosse un’offerta adeguata i giovani si interesserebbero al mercato orafo; la richiesta del mercato è quindi l’ago della bilancia”. “Bisognerebbe creare un desiderio nei giovani di fare questo lavoro, in quanto abbiamo qualcosa in più da italiani rispetto agli altri, ma questo qualcosa va promosso nel modo adeguato”, questo il parere di Federico Gauttieri, patron del brand Casato Gioielli.
David Ragionieri (direttore generale della toscana Rebecca) è “fiero del fatto che l’età media della propria azienda sia di 33 anni”, pur ammettendo che “non sia facile trovare giovani, poco attratti da un lavoro in cui ci si sporca le mani, e bisogna essere quindi in grado di trasmettere la passione per questo lavoro”. Decisamente ottimista, invece, Guido Damiani (presidente del gruppo Damiani di Valenza in Piemonte): “Nei nostri laboratori sono quasi tutti giovani, poiché abbiamo la capacità di fare formazione e un know-how fortissimo, e tendiamo ad avere seduti fianco a fianco l’operaio che lavora da noi da oltre mezzo secolo con il diciottenne che sta facendo apprendistato”.
Della stessa idea anche Chiara Carli (mente creativa della maison vicentina Pesavento): “A livello produttivo sembra ci sia un ritorno alla manualità, alla voglia di fare. Questo è molto positivo, i giovani in azienda sono volenterosi, trasmettono a tutti carica ed energia”.
“Non è vero che i giovani non vogliono fare questo lavoro. I giovani sono già motivati se qualcuno gli offre un lavoro, i fannulloni non esistono. Appena le leggi hanno incentivato con sgravi fiscali l’assunzione di giovani c’è stato un boom di contratti a tempo indeterminato. È importante che questi sgravi continuino, per poter dare ai ragazzi un lavoro a lungo termine”. Questa è l’opinione di Albert Mouhadab, del gruppo Bronzallure. Vincenzo Giannotti (presidente del celebre centro orafo campano Il Tarì) dichiara: “Noi abbiamo 120 ragazzi a scuola e sono tutti ragazzi con grande voglia di fare e di qualsiasi levatura sociale. Ogni anno dalle scuole escono giovani orologiai, con un ritorno dell’80% di ragazzi che trovano un impiego”.