Il 3 gennaio 1954 con tre cerimonie inaugurali (Milano, Torino e Roma) iniziano ufficialmente le trasmissioni della Rai, Radio Audizioni Italiane, la società concessionaria del servizio pubblico radiofonico e televisivo in Italia. Ripercorriamo le tappe salienti che hanno contraddistinto il cammino della Tv in questi settant’anni, senza dimenticare i primi 100 anni della radio in Italia e nel mondo
di GianAngelo Pistoia
NordEst – Il “risvolto di copertina” del libro di Aldo Grasso “Padiglione Italia” (Solferino, 2021) recita: “Ogni giorno, il bel paese ci offre uno sgangherato spettacolo teatrale di cui non si sa se ridere o se piangere. Vizi e costumi, trasformismi e maschere della politica, ambiguità e paradossi della cronaca quotidiana. Aldo Grasso è un maestro nell’infilzare con la sua penna ironica e appuntita la contraddittorietà dell’esistere, le luci e le ombre di tutto ciò che ci passa sotto gli occhi, curiosando nelle pieghe dei personaggi, senza risparmiare nessuno: da Grillo a Toninelli, da Asor Rosa a Salvini, da Toti ad Arcuri, da Gratteri a Montanari, da Speranza a Meloni.
Mai con facile indignazione e pedante supponenza e sempre con curiosità e disincanto: da vero moralista, insomma, che si occupa della natura intima dell’uomo; da polemista autentico, teso anzitutto a smascherare l’ipocrisia dominante. In queste pagine, con il ritmo e l’ispirazione delle grandi favole morali di Esopo, si susseguono gustosi ritratti di illustri campioni e irresistibili incapaci ma anche quadri di varia e dissestata umanità che insieme compongono un più ampio inventario, spietato e verissimo, dei disturbi culturali e politici che colpiscono la vita italiana contemporanea”.
Ho voluto iniziare questa mia riflessione con un paradigmatico ritratto di Aldo Grasso, perché è di un suo interessante editoriale che voglio proporvi la lettura. Aldo Grasso, giornalista di “lungo corso” è, fra l’altro, uno stimato, autorevole e “temuto” critico televisivo che dalle pagine del Corriere della Sera cura una rubrica quotidiana “A fil di rete” e una settimanale “Padiglione Italia” dedicata rispettivamente alla televisione e al “commentario politico”.
Aldo Grasso lo scorso 31 dicembre 2023 ha scritto sul “Corriere della Sera” un editoriale dal titolo: “La Rai compie 70 anni: educatrice, egemonica, seriale. Storia dello strumento che ha cambiato il Paese”. Editoriale esaustivo che dovrebbe essere divulgato anche nelle scuole e che di seguito ripropongo per ampli stralci.
Il 3 gennaio 1954
Alle 11 in punto del 3 gennaio 1954 con tre cerimonie inaugurali (Milano, Torino e Roma), iniziano ufficialmente le trasmissioni della Rai, Radio Audizioni Italiane, la società concessionaria del servizio pubblico radiofonico e televisivo in Italia. Tocca all’annunciatrice Fulvia Colombo pronunciare le prime parole: «La Rai, Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive».
Quel giorno gli abbonati privati sono 90, dopo un mese 24mila, dopo un anno quasi 90mila. Nel 1954, l’Italia era un paese povero, gravato da un alto tasso di analfabetismo, viveva in condizioni igieniche precarie, usava il treno come mezzo principale di trasporto: la chiamata al servizio di leva e il viaggio di nozze erano per molte persone le uniche occasioni di spostarsi dal proprio luogo di nascita. E siccome un apparecchio televisivo costava più di 215.000 lire (quando un buon stipendio “statale” non superava le 80mila), l’avvento della tv fu all’inizio un evento per pochi fortunati. Grazie al cielo, c’erano i bar, le osterie, le società di mutuo soccorso, gli oratori che trasformarono la visione in un’occasione di incontro sociale. Di solito, il televisore era posto su un trespolo e una scritta minacciosa turbava la visione dei più distratti: “Consumazione obbligatoria”, sovrastata da un’altra che intimava “Non toccate la televisione”. La televisione, non il televisore.
La tv nella storia
Alla nascita, la tv rispecchiava lo spirito di una borghesia medio-alta e si rivolgeva a quella stessa borghesia, la sola in grado di acquistare il costoso apparecchio (di lì a pochissimo, però, grazie allo strepitoso successo di “Lascia o raddoppia?” negli spazi pubblici, nei bar, nei cinema la tv si sarebbe affermata come lo strumento principe della cultura popolare). Per intanto, la fascinazione del mezzo attirava dalle università le menti migliori e dava inizio a quella fase aurorale in cui un nuovo strumento è in grado di stimolare nuovi immaginari. La sezione spettacoli viene affidata a un drammaturgo, Sergio Pugliese, quella informativa a un giovane cronista, Vittorio Veltroni. Entrambi provengono dalla radio. L’indirizzo ufficiale della Rai è: via Arsenale, 21, Torino.
Gli addetti ai “livori”
Per fortuna, ora di tv non si occupano soltanto gli addetti ai lavori, ma storici, studiosi della lingua, sociologi, antropologi, tutti sono concordi nell’assegnare alla televisione un ruolo decisivo nell’autorappresentazione del paese, nella diffusione di una lingua unitaria, nella sincronizzazione dei ritmi di una comunità (si parla di tv come “orologio sociale”), nella funzione pedagogizzante.
Privilegiando il rapporto con la propria audience, proporrei di dividere la storia della tv italiana in quattro grandi periodi: quello in cui la Rai è più avanti del suo pubblico (l’analfabetismo riguardava metà della popolazione italiana), quello in cui l’offerta televisiva è in perfetta sincronia con il “sapere” degli spettatori, quello in cui c’è una tale abbondanza di offerta che è necessario declinare al plurale sia le televisioni che i pubblici, infine quello attuale, frutto della più grande rivoluzione che ci sia mai stata nel mondo della comunicazione: il passaggio dall’analogico al digitale.
La tv delle origini (1954-1974)
Basti pensare alle inchieste di Mario Soldati, Ugo Zatterin, Giovanni Salvi, Virgilio Sabel, Sergio Zavoli, ai varietà di Falqui e Sacerdote, ai quiz di Mike Bongiorno, al grandioso progetto di Telescuola (c’è anche un corso per analfabeti tenuto dal maestro Manzi) per rafforzare questa tesi: ogni programma era anche un’offerta di conoscenza per il pubblico, per la prima volta il mondo entrava in casa.
A ragione, i dirigenti dell’epoca sono ricordati come circonfusi di un’aura di venerazione e di professionalità. Proprio santi non erano (specie l’informazione era rigidamente controllata dalla Democrazia Cristiana), ma hanno avuto la buona sorte di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, quando la tv stessa guidava chi voleva lasciarsi guidare e trascinava i nolenti. Il giovedì sera, era d’uso fra le famiglie più benestanti invitare i vicini di casa, con sedia di scorta, a vedere “Lascia o raddoppia?”: una parentesi miracolosa nella vita condominiale.
La tv della deregulation (1975-1999). È l’epoca dei programmi che tutti vedevano, di cui tutti parlavano, da cui tutti erano influenzati, compresi gli altri media: “90° minuto”, “Bontà loro”, “Portobello”, “L’altra domenica”, “Quelli della notte”, “Quark”, “Domenica in”, “Mixer”, “Samarcanda”, “La Piovra”.
C’è poi da registrare la fortissima spinta delle tv commerciali, di Mediaset in particolare, come nel caso di “Drive in” o di “Mai dire gol”. È il momento in cui, per la sua specificità di “medium generalista di flusso”, la tv tende a sincronizzare con rara efficacia i ritmi di un’intera comunità nazionale. Quando a “Portobello”, nel 1978, il signor Piero Diacono, tramviere, propone di spianare il colle del Turchino per creare una corrente d’aria in grado di spazzare via la nebbia in Val Padana, l’idea è dibattuta in ogni luogo, dai bar alle università.
La tv dell’abbondanza (2000-2010)
L’offerta è ormai così grande (arriva il satellite, arriva la pay tv) che solo una parte della popolazione, la più anziana, vive la tv come unica interfaccia col vasto mondo. Si parla di declino, in Rai abbondano gli sceneggiati su Padre Pio. Mediaset mira all’audience commerciale e le tv a pagamento cercano di attrarre un pubblico più giovane e socialmente attivo.
Mentre nasce l’epopea del Grande Fratello, si assiste a una sorta di scissione. I canali crescono a dismisura e sono alla ricerca di nicchie di pubblico più remunerative: arrivano le grandi serie americane, si alzano gli standard linguistici, s’intrecciano le discussioni teoriche, lo showrunner diventa il nuovo romanziere. Il consumo televisivo tende a farsi sempre più personalizzato, in un’ideale linea di sviluppo che conduce dalla griglia del palinsesto alla libertà dell’on demand. In una fase di riflusso della tv generalista, il lievito di molte trasmissioni sono i casi di cronaca nera, tanto da diventare format sperimentati. Le trasmissioni sui delitti colonizzato i palinsesti, diventano rubriche fisse dei contenitori pomeridiani e domenicali, si serializzano.
La tv della convergenza (2011- oggi)
Ad un certo punto è circolata la voce che la tv (generalista) fosse morta, soffocata dalle grandi piattaforme di distribuzione, le cosiddette OTT (over-the-top): la visione in streaming avrebbe “ucciso” i vecchi palinsesti, cioè la tv lineare, quella dei tg, delle domeniche pomeriggio, dei talk show dove tutti urlano e non si capisce niente. Ancora una volta è una “notizia fortemente esagerata”, come quando si erano decisi a tavolino i funerali del teatro, della radio, del cinema.
In realtà, la tv generalista gode ancora di buona salute (Rai, Mediaset, La7: persino le piattaforme Discovery e Sky hanno cercato uno sbocco sul digitale), il suo statuto è attraversato da fenomeni di innovazione e cambiamento, da mezzi più personali, come tutti quelli che si appoggiano al digitale come linguaggio e al web come piattaforma distributiva. Si parla di partecipazione attiva, di ritorno dei giovani (dati per dispersi), di una “ritualità reloaded”.
Si tratta di una ritualità sincronizzata non più sulla società ma sui social media ma che evidenzia la capacità di molti programmi di generare ancora condivisione: engagement, like, tweet… La tv attrae il mondo dei social con contenuti forti; disponendo di una massa critica di trasmissioni, a fronte di una lieve decrescita, riesce ancora a trasformare la sua offerta in parola, cioè in discorso comune, attraverso momenti importanti (Festival di Sanremo, X Factor, Amici, gli eventi di cronaca e di sport, …).
La grande influenza che la televisione ha avuto e ha sulla cultura popolare è rappresentata soprattutto dalla sua presenza nella vita quotidiana: è visione e insieme esperienza vissuta, è flusso continuo di contenuti e insieme di emozioni. Settant’anni fa, come oggi» così Aldo Grasso concludeva il suo editoriale pubblicato lo scorso 31 dicembre sul “Corriere della Sera”.
Un secolo di radio
(wikipedia) – In occasione dei cento anni della storia della radio in Italia (l’anno che si concluderà il 6 ottobre 1924), la Rai ha organizzato una trasmissione radiofonica speciale condotta da Umberto Broccoli e arricchita dalle testimonianze audio tratte dalle Teche Rai in cui si raccontano eventi ed anneddoti della radiofonia dalle origini fino ai tempi moderni. In Italia, che sul piano tecnologico era di fatto la patria della radio, il nuovo strumento conobbe maggiori difficoltà ad imporsi. Il radiotelegrafo era stato impiegato in operazioni militari durante la prima guerra mondiale e una legge del 1910 ne proibiva l’uso ai civili.
Mentre all’estero cominciava la radiomania, nel giugno del 1923 iniziarono le trasmissioni sperimentali della prima emittente italiana, il Radio Araldo di Roma, gestito dall’ingegner Ranieri, che nel successivo agosto ottenne una concessione provvisoria per trasmissioni radiofoniche sperimentali, grazie ai buoni rapporti con il Ministro delle Poste Giovanni Antonio Colonna di Cesarò. Tuttavia, all’inizio del 1924 Di Cesarò si dimise dal governo e il suo posto fu preso da Costanzo Ciano, che avrebbe preferito dare la concessione a Marconi. Egli, ministro delle poste nel primo governo Mussolini, intuendo l’enorme potenzialità della radio, indirizzò una lettera alle società che avevano fatto richiesta per la concessione invitandole a trovare un accordo. Il compromesso venne raggiunto con la costituzione dell’Unione Radiofonica Italiana.
Il 5 ottobre 1924, Benito Mussolini fece il primo discorso radiofonico della storia d’Italia da un trasmettitore in prova fornito dalla Marconi Italia che, sarebbe diventato la stazione di Roma “Roma-1” nel quartiere di San Filippo situato in Palazzo Corradi in via Maria Cristina nel rione Prati. Il 6 ottobre 1924, data considerata quella di inizio delle trasmissioni commerciali, in un modesto appartamento dell’ammezzato del medesimo palazzo, con le pareti e il soffitto coperti di pesanti tende per attutire i rumori, alle ore 21 Ines Viviani Donarelli lesse il primo annuncio con queste parole:
«Uri, Unione Radiofonica Italiana. 1-RO: stazione di Roma. Lunghezza d’onda metri 425. A tutti coloro che sono in ascolto il nostro saluto e il nostro buonasera. Sono le ore 21 del 6 ottobre 1924. Trasmettiamo il concerto di inaugurazione della prima stazione radiofonica italiana, per il servizio delle radio audizioni circolari, il quartetto composto da Ines Viviani Donarelli, che vi sta parlando, Alberto Magalotti, Amedeo Fortunati e Alessandro Cicognani, eseguirà Haydn dal quartetto opera 7 primo e secondo tempo».
Per molto tempo si credette che fosse stata Maria Luisa Boncompagni a dare l’annuncio d’inizio trasmissioni con le parole: «Unione Radiofonica Italiana, stazione di Roma Uno, trasmissione del concerto inaugurale» fino a quando nel 1997 Barbara Scaramucci, direttrice delle Teche Rai, ritroverà negli archivi Rai di Firenze il documento sonoro originale, dimostrando anche che l’annuncio originario venne in seguito manipolato rimuovendo la frase “che vi sta parlando” e per questo venne successivamente accreditato alla Boncompagni, la prima annunciatrice in Italia assunta con selezione e concorso. Dopo il concerto, fu trasmessa della musica scelta e infine, la prima trasmissione si concluse con il bollettino meteorologico, la borsa e le notizie, sempre lette da Ines Viviani Donarelli. Il tutto durò soltanto un’ora e mezza. Alle 22.30 le trasmissioni venivano sospese per “far riposare le esauste valvole“.