Le grosse case editrici, che si basano sul profitto, smettono di fare collane che non sono più redditizie
NordEst – “Perché la poesia dovrebbe vendere? Nessuno ne parla, è mal distribuita, non è promossa. Qualcuno conosce un prodotto che sia mal distribuito, non promosso, di cui nessuno parla che invece venda? Io non ne conosco alcuno”. E’ con queste parole che Nicola Crocetti, editore dell’omonima casa specializzata in libri di poesia, lancia l’allarme sulle difficoltà che attraversa il settore. Un allarme condiviso anche da altri protagonisti del settore, tra cui il poeta Maurizio Cucchi, che invoca “un intervento istituzionale a difesa della poesia”, da Mauro Bersani, responsabile della collana Einaudi ‘la Bianca’, e dall’editrice leccese Agnese Manni secondo la quale “la poesia è stata espulsa dal mercato”.
Il fatto che “le grosse case editrici, che si basano sul profitto, smettano di fare collane che non sono più redditizie -sottolinea Crocetti – denuncia una condizione di crisi. La nostra non è un casa editrice basata sul profitto. La definirei, piuttosto, un’utopia e continuerà ad esserlo finché avrà un po’ di fiato. Viviamo in un Paese di gente che scrive ma non legge. E’ questa la tragica realtà”.
Una riflessione che vale a maggior ragione per la poesia dal momento che “i poeti non comprano libri di poesia, ma si autopubblicano”, argomenta Crocetti ricordando anche che ogni anno “escono tra i 1.500 e i 2.000 titoli, la maggior parte dei quali autoprodotti”. Crocetti sottolinea, inoltre, che la “tanto vituperata Grecia ha poeti che vendono decine di migliaia di copie. La poetessa Kiki Dimulà, con un volume che raccoglie le sue poesie, ha venduto 51mila copie e la Grecia ha un sesto degli abitanti dell’Italia. Kavakis ha venduto più di 100mila copie. Ci sono dei Paesi – scandisce Crocetti – dove la poesia è amata e letta e ci sono dei Paesi in cui la poesia non interessa, non è amata né letta, comprata e diffusa. E’ una questione di cultura”. L’editore, poi, tiene a rivendicare la storia della sua casa editrice: “Siamo una delle pochissime ultime case editrici indipendenti che non hanno mai avuto un centesimo di contributi dalle istituzioni italiane”.
Ad invocare “un intervento istituzionale a difesa della poesia” è un poeta di casa nostra, Maurizio Cucchi, che ha anche tradotto autori del calibro di Stendhal, Lamartine, Flaubert. “Con pochi soldi – sostiene – si riuscirebbe a provvedere alle necessità anche delle maggiori collane editoriali. Einaudi e Mondadori continuano a fare poesia, ma altri editori in pratica scompaiono. E questo è un peccato enorme. Non si chiede che la poesia sia presente con cento titoli all’anno, come succede per altri generi. Ma quanto meno dovrebbe mantenere i suoi livelli tradizionali”.
A queste riflessioni, Cucchi ne aggiunge altre che reputa “decisive”. L’Italia, spiega, “è il Paese delle canzonette, i cui testi vengono considerati come la nuova poesia. Siamo stati invasi, pertanto, da una quantità di surrogati”. Il risultato di questa ‘invasione’ è “la crescita dell’ignoranza nella convinzione che il surrogato sia pari alla poesia della tradizione. E’ il mercato che decide tutto ciò”, rileva Cucchi. “Addirittura – ricorda – il ministro Franceschini ha detto che Lucio Dalla, che io ho molto ammirato, deve essere studiato anche nelle scuole. Ma se sentiamo la sua musica anche senza volerlo, perché studiarlo nelle scuole?”.
Il j’accuse di Cucchi colpisce anche “i mezzi di comunicazione che se ne infischiano della poesia per due ragioni: in primo luogo perché pensano che non interessi ai lettori e, in secondo luogo, perché molto spesso sono ignoranti e, di conseguenza, non ne parlano perché non sanno cosa sia”.
Ad analizzare il microcosmo della poesia con maggiore fiducia, rimarcando anche qualche aspetto positivo, è invece Mauro Bersani, responsabile della collana di poesia targata Einaudi, la celebre ‘Bianca’. “Noi – spiega Bersani – continuiamo a fare otto titoli all’anno, ma soprattutto la cosa che ci fa sopravvive è che ristampiamo molto. Su 430 titoli che abbiamo pubblicato dall’inizio ce ne saranno almeno 250 che ristampiamo ogni anno. Questi titoli, in realtà, vendono più delle novità. Se con gli otto titoli ‘nuovi’ vendiamo tra le 12mila e le 15mila copie quando va bene, arrivando con un bestseller a 20mila copie, con le ristampe di Kavasis, Pavese, Eliot, ne facciamo 25mila. Tutte le ristampe, insomma, vendono 25mila copie cui si devono aggiungere le 15-20mila copie frutto delle novità. Questi numeri ci fanno sopravvivere e non ci fanno essere in perdita. Viviamo molto di catalogo. Tutti gli anni abbiamo un libro che vende più di 4mila copie”, aggiunge Bersani.
Questo significa, in altri termini, che le ristampe “annualmente ci portano a casa del fieno. La collana è molto elegante ma anche molto povera. Quindi i titoli si ristampano con poca spesa”, chiarisce Bersani il quale registra, comunque, alcune defezioni ‘eccellenti’ tra le collane storiche del panorama editoriale. “E’ vero che Garzanti e Guanda, che hanno fornito per anni le collane più importanti, insieme all’Einaudi, oggi non fanno più nulla. Guanda – spiega Bersani – fa solo autori stranieri. Insomma, le loro non sono più le collane guida della poesia. La poesia – fa notare più in generale Bersani – non è scomparsa dall’editoria, ma ci sono state delle defezioni importanti negli ultimi anni”.
La conseguenza di questi cambiamenti consiste nel fatto che “la poesia si deve ridistribuire tra il parco degli operatori rimasti”. Allargando la sua riflessione, Bersani evidenzia che “in questi anni c’è stata una grande metamorfosi del mercato. Tempo fa, ad esempio, tutti i bestseller erano libri di grande qualità. In testa alla classifica c’erano romanzi come ‘L’Amante’ della Duras o ‘Il nome della rosa’ di Umberto Eco. I libri che arrivavano in testa alle classifiche non erano gialli o libri d’intrattenimento. La poesia segue questa evoluzione del mercato che ha cambiato strutturalmente l’offerta delle case editrici. Non tutti gli editori presidiano il lettore di saggistica, dei classici e della poesia. Non credo che, per la poesia, ci possano essere grandi sviluppi, però si può pensare ad una tenuta”.
Sulla scia dell’analisi espressa da Bersani, si colloca anche Agnese Manni, l’editore leccese che considera la poesia “costitutiva della nostra identità. Siamo – afferma – in una fase caratterizzata da un livellamento verso il basso. Se un romanzo di qualità, più difficile e problematico, fa fatica a trovare spazio in libreria, figuriamoci la poesia. In questi ultimi anni, la poesia è stata espulsa dalle pagine dei giornali e le librerie hanno un basso assortimento di libri di poesie”.
“I titoli sono pochissimi. A me sembra – continua Manni – che, negli ultimi anni, c’è stato un processo di espulsione dal mercato della poesia. C’è da dire, però, che i lettori di poesia rappresentano una nicchia con un’identità molto forte”.
“Ciò significa – puntualizza l’editore – che il settore riesce ad avere una maggiore ‘pulizia’ anche perché, di fatto, è fuori mercato. E anche i premi di poesia, che aiutano a finanziare una pubblicazione, sono più puliti. Il fatto di essere ai margini del mercato – conclude Manni- mette al riparo la poesia dalle storture del mercato stesso”.