Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta in controtendenza
NordEst – Rappresentano il 43% della superficie italiana, ma i territori montani stanno assistendo a un progressivo, silenzioso spopolamento a tutto vantaggio delle pianure. A fronte di una popolazione italiana cresciuta di 12 milioni di unità negli ultimi 60 anni, la montagna ha perso 900mila abitanti. La crescita si è quindi concentrata in pianura (8,8 milioni di residenti in più) e collina (+4 milioni). Risultato: se nel 1951 la popolazione montana era il 41,8% rispetto a quella di pianura, oggi rappresenta solo il 26%.
Ma dove i decisori pubblici hanno saputo mettere in campo politiche pubbliche lungimiranti, i dati sono in netta controtendenza, fino a rappresentare delle vere e proprie best practice per l’intero Paese. E’ così che in Trentino, Alto Adige e Valle d’Aosta, la popolazione montana, anziché diminuire, cresce. La provincia di Trento è la principale destinazione delle migrazioni interne. E, accanto al saldo migratorio interno favorevole, un altro dato è stato sottolineato nella ricerca: Trentino e Alto Adige hanno anche il secondo più basso rapporto di anziani per bambini, ribaltando una classifica che, 40 anni fa, le vedeva al settimo posto.
Lo rileva il rapporto “La montagna perduta. Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano”, curato da Centro Europa Ricerche e Trentino School of Management con il patrocinio del Senato della Repubblica, dell’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani e della Fondazione Dolomiti Unesco.
“I territori montani sono un nodo strategico per l’economia verde, in una società che vede sempre più avanzare la crisi idrica ed energetica – osserva il presidente del Senato, Pietro Grasso – Adeguate politiche pubbliche devono essere in grado di superare le condizioni di svantaggio che limitano le potenzialità della montagna non ancora sufficientemente sfruttate”.
E a proposito di ‘adeguate politiche pubbliche’, per Ugo Rossi, presidente della Provincia Autonoma di Trento, sono proprio queste ad incidere “dal punto di vista qualitativo. Da più parti ci si invita a riflettere sulla nostra autonomia. Ma noi tale riflessione l’abbiamo fatta da tempo, accettando di aumentare le nostre competenze e diminuire al tempo stesso la percentuale di risorse locali che tratteniamo nel nostro territorio per contribuire a ripianare il debito pubblico nazionale. L’autonomia – sottolinea Rossi – non è la difesa di un mondo e delle proprie prerogative dalle minacce esterne, ma è la tutela delle nostre buone esperienze, del nostro bagaglio di conoscenza, di uno strumento che ha garantito la qualità di vita dei nostri cittadini”.