Il tema della violenza sulle donne rimane purtroppo di drammatica attualità: se ne parla con frequenza, ci si infervora, ci si scandalizza, ci si indigna e si continua a provare un intenso phatos nei confronti delle vittime di azioni criminali, ma il problema rimane ancora nella zona delle emergenze sociali
di Liliana Cerqueni
NordEst – Assistiamo allo scorrere della cronaca nutrita quotidianamente da abusi, omicidi, stupri, violenze psicologiche e fisiche di ogni livello, che ci restituiscono l’immagine di un genere femminile facile bersaglio della bestialità umana e questo, in un’epoca in cui dovremmo vantare progresso, conquiste sociali, conoscenza e consapevolezza, non è accettabile. Il 25 novembre è dichiarato dall’ONU (con decisione del 17 dicembre 1999) ‘Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne’. Non è una data a caso: questo giorno ricorda il brutale assassinio, avvenuto nella Repubblica Dominicana nel 1960, ai tempi del dittatore Trujillo.
Tre delle quattro sorelle Maribel, impegnate oppositrici della dittatura e dissidenti convinte, furono torturate e strangolate per poi essere gettate in un burrone, per simulare un incidente. Un fatto scelto ad emblema di una violenza che riguarda milioni di altre donne, in Paesi ed epoche varie, costrette a subire per diversi motivi e con differenti modalità soprusi e maltrattamenti, anche a prezzo della vita.
Oggi in Italia, quasi 7 milioni di donne (il 31,5%) secondo i dati Istat, hanno subìto nel corso della loro vita qualche forma di abuso; nel 2016 sono state 120 le vittime che hanno perso la vita e nel 2017 si registra una morte ogni 3 giorni. Un macabro bollettino su cui riflettere. I dati degli ultimi anni, a partire dal 2012, pur confermando un trend in leggera diminuzione, ci indicano come il 71,9% della brutale violenza avvenga in famiglia per motivi legati alla fine di una relazione, disagio e rapporti difficili in balia di emotività incontrollabile, dinamiche familiari che si consumano tra le quattro mura senza richiesta di aiuto ai servizi sociali, alle associazioni, alle istituzioni. Tra le violenze, anche lo stalking che in Italia, secondo i più recenti dati Istat rilevati, raggiunge 3 milioni 466 mila vittime di atteggiamenti persecutori. Da tutto ciò emerge un quadro preoccupante per la manifesta facilità ed efferatezza con cui si sceglie la violenza come unico, sbrigativo e gratuito modo di liquidare definitivamente il disagio relazionale.
Una lunga indelebile scia rosso sangue che traccia vissuti e drammi nascosti. Non basta un RIP per queste donne, non è sufficiente nemmeno moltiplicare celebrazioni o dedicare loro un rapido pensiero di compassione. “Omicidio passionale”, “dramma della gelosia”, “raptus di follia” non sono altro che grandi contenitori di un unico tragico sunto: la progressiva incapacità di gestire situazioni scomode che potrebbero toccare a chiunque, che degenerano nella brutalità. Occorre urgentemente fare nostra l’idea di una cultura diversa che rifiuti la violenza fisica e psicologica come modalità comunicativa che regola i rapporti umani sulla base delle prevaricazioni.
E non possiamo neanche permetterci di aspettare a lungo. L’iniziativa ‘La voce degli uomini contro la violenza sulle donne’ che si inserisce all’interno della Campagna Internazionale del Fiocco Bianco, è un momento in cui rappresentanti del mondo dello Sport, dello Spettacolo, delle Istituzioni, dell’Informazione, dell’Arte hanno voluto trovare un comune spazio di dibattito in cui confrontarsi con i cittadini, creare sensibilizzazione, riflettere insieme sul tema della violenza di genere che, in uno spettro più ampio, dovrebbe intendere anche il rifiuto della violenza in generale.
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