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Addio fringuello alpino, minacciato dai cambiamenti climatici e delle piste da sci

A rischio anche il codirosso spazzacamino, la civetta nana e la civetta capogrosso il cui areale potrebbe ridursi fino al 97% nei prossimi decenni

NordEst –  I cambiamenti climatici rischiano di causare un forte declino per numerose specie di uccelli che vivono sulle Alpi italiane. Ma la minaccia potrebbe essere sensibilmente aggravata dall’impatto delle attività umane e, in particolare, dalla realizzazione di nuovi impianti per lo sci, che, a causa dell’innalzamento delle temperature, contendono e strappano agli uccelli selvatici i loro territori di nidificazione, costituiti da praterie e altri ambienti d’alta quota.

E a quote inferiori, lo sfruttamento forestale pone potenziali ulteriori minacce alle specie legate alle foreste montane. Lo annuncia la Lipu-BirdLife Italia, presente oggi al convegno di Parigi su “Uccelli e cambiamenti climatici”, promosso da BirdLife International, Lpo (BirdLife in Francia) e Muséum national d’histoire naturelle.

Secondo i dati presentati oggi, specie tipiche delle nostre Alpi come spioncello, sordone, fringuello alpino, codirosso spazzacamino, civetta nana e civetta capogrosso potrebbero subire una forte contrazione di areale nel corso dei prossimi decenni, compresa tra il 24% e il 97%. La percentuale dipenderà dal cambiamento climatico che si verificherà da qui al 2100.

La ricerca ha preso in esame due degli scenari climatici elaborati dall’Ipcc (International panel climate change) intorno al 2050: il primo prevede un aumento consistente ma più contenuto (circa +1,8 gradi di aumento medio della temperatura globale per l’ultimo ventennio del secolo corrente), il secondo più estremo (+3,7 gradi di aumento della temperatura).

Per gli uccelli, nella migliore o nella peggiore ipotesi, non ci sarà comunque scampo: lo spioncello diminuirà tra il 57% (ipotesi più contenuta) e il 70% (ipotesi estrema), il sordone del 57% o del 69%, il codirosso spazzacamino del 24% o del 31%, e il fringuello alpino, in modo drammatico, del 91% o del 97%.

“Non occorre immaginarsi in un futuro lontano per vedere gli effetti dei cambiamenti climatici sugli uccelli legati agli ambienti più freddi delle aree montane – spiega il ricercatore italiano Mattia Brambilla – perché essi sono visibili già da alcuni decenni”.

“La connettività tra le diverse aree idonee alla presenza delle specie di uccelli considerate si ridurrà nella maggior parte dei casi, incrementando così il rischio di isolamento, e conseguentemente di declino o scomparsa locale, per queste specie”, sottolinea Brambilla.

Gli uccelli delle Alpi e la biodiversità subiscono non solo l’impatto diretto dei cambiamenti climatici, ma anche l’impatto delle attività dell’uomo, lo sfruttamento delle foreste e gli impianti sciistici, questi ultimi in smobilitazione in questi anni a causa dell’innalzamento delle temperature. Un fattore questo che spinge i loro costruttori a cercare nuovi territori da “colonizzare” a quote superiori, sovrapponendosi inevitabilmente alle stesse aree occupate da spioncelli, fringuelli alpini e dalle altre specie oggetto della ricerca.

“Due terzi delle aree prioritarie per la conservazione delle specie d’alta quota coincideranno con quelle potenzialmente idonee, sulla base di clima e topografia, alla costruzione di piste da sci – aggiunge Brambilla – creando un ennesimo, forte conflitto tra sviluppo economico e tutela dell’ambiente”.

Lo sfruttamento forestale, invece, può avere impatti negativi, in quanto può eliminare alberi utili alla nidificazione degli uccelli e semplificare la struttura dei boschi, rendendoli inadatti alle specie più esigenti. Ma può presentare anche delle opportunità, mantenendo o creando piccoli spazi aperti utili alla biodiversità o limitando le specie invasive, attraverso tagli selettivi che possono favorire il mantenimento di condizioni idonee alle specie montane.

“Cambiamenti climatici e tutela della biodiversità sono fortemente legati tra di loro – dichiara Claudio Celada, direttore Conservazione natura Lipu, presente al convegno di Parigi – Il ruolo infatti degli ecosistemi, come per esempio foreste, zone umide e oceani, è cruciale nella regolazione del clima, e buone politiche di conservazione della biodiversità sono, e saranno sempre di più in futuro, fondamentali per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici”.

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