Roma la più indebitata (1,5 mld). Bene Brescia, Ferrara, Trapani
NordEst – Al 31 dicembre 2018 i principali Comuni italiani avevano 3,6 miliardi di euro di debiti verso i propri fornitori.
Lo rileva la Cgia di Mestre secondo la quale si tratta di “una somma importante che, comunque, risulta essere sottodimensionata, visto che nell’elaborazione non sono incluse molte Amministrazioni comunali che, ad oggi, non hanno ancora pubblicato/aggiornato sul proprio sito il numero dei creditori e l’ammontare complessivo dei debiti maturati alla fine del 2018 per le seguenti voci di spesa: somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali.
Debiti, per la Cgia, che includevano anche quelli non ancora scaduti che, tuttavia, dovevano essere onorati per legge entro lo scorso 31 gennaio. Somme, pertanto, che rispetto alla dimensione registrata alla fine del 2018 potrebbero, allo stato attuale, essersi notevolmente ridotte, anche se i dati riportati successivamente dai singoli Comuni non hanno consentito di provare questo assunto.
Dalla lettura dei siti internet
Il Comune di Roma è quello più indebitato: al 31 dicembre 2018 i propri fornitori (4.966 imprese) avanzavano 1,5 mld di euro. Tra i “peggiori” Comuni pagatori ci sono anche Napoli con 432,2 mln di mancati pagamenti (599 imprese creditrici), Milano con 338,2 mln (2.124 imprese), Torino con 299,1 mln (1.161 aziende) e Palermo con 137 mln (909 imprese). Da segnalare, invece, la straordinaria performance dei Comuni di Brescia, Ferrara e Trapani: a fine 2018, tutte queste amministrazioni hanno dichiarato di non avere alcun debito verso i propri fornitori.
I richiami europei
La Commissione europea, pur avendo riconosciuto gli sforzi compiuti dal Governo italiano, ha avviato una procedura di infrazione con lettera di costituzione in mora nel giugno 2014 e il successivo invio del parere motivato nel febbraio 2017.
Nonostante questi richiami, i Comuni italiani necessitavano in media 100 giorni per saldare le loro fatture. A fronte di questa situazione, la Commissione nel dicembre del 2017 ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’UE, ribadendo il sistematico ritardo con cui le amministrazioni pubbliche italiane effettuano i pagamenti nelle transazioni commerciali, in violazione delle norme dell’UE in materia di pagamenti.
“Nonostante negli ultimi anni i vincoli imposti dal patto di stabilità interno siano stati superati – segnala Paolo Zabeo – molti Comuni continuano a liquidare i propri fornitori con tempi abbondantemente superiori a quelli stabiliti per legge. In particolar modo al Sud”. Sebbene il MeF dica che i tempi di pagamento delle Pa stiano calando, i tecnici di via XX Settembre sono giunti a questa conclusione dopo aver elaborato dati ancora molto parziali, visto che hanno monitorato “solo” 20,3 mln di fatture su un totale di 28 mln emesse nel 2018 (72,5% del totale). Per il Mef, pertanto, l’ammontare complessivo del debito residuo non pagato a fine 2018 ammonterebbe a 26,9 mld. Dato che si riferisce alle sole fatture emesse nel 2018 e con i limiti appena descritti. “Con l’introduzione della fatturazione elettronica – afferma il segretario Renato Mason – le cose sono migliorate. Dalla fine del mese di marzo del 2015, infatti, tutti i fornitori della Pa hanno l’obbligo di emettere la fattura in formato elettronico. Una disposizione che ha reso più trasparente il rapporto commerciale tra il pubblico e il privato, anche se il debito complessivo rimane ancora da definire e i ritardi nei pagamenti spesso sono ancora del tutto ingiustificati”. Dall’indagine di Intrum Justitia, nel 2018 la nostra PA è stata la peggiore pagatrice in Ue: mediamente dopo 104 giorni contro i 41 della media europea. Per la Cgia la cattiva abitudine a pagare in ritardo i propri fornitori riguarda anche i committenti nei rapporti commerciali tra le imprese private. Sempre secondo Intrum Justitia, nel 2018 le imprese italiane hanno saldato i propri subfornitori mediamente dopo 56 giorni (peggior risultato a livello europeo dopo il Portogallo), anche se questo lasso di tempo è comunque al di sotto dei canonici 60/90 giorni. Nulla comunque a che vedere con i tempi registrati in Francia (42 giorni), nel Regno Unito (27) e in Germania (24). La media Ue è di 34 giorni: 22 giorni in meno che da noi.