Il giornalista trentino Paolo Magagnotti, amico ed estimatore del cardinale “primierotto”, ha presentato lo scorso giugno in una affollata conferenza a Primiero il suo nuovo libro dedicato all’arcivescovo di Chicago dal titolo evocativo “Joseph Bernardin. Cardinale figlio di emigrati trentini che ha affascinato l’America”
di GianAngelo Pistoia
NordEst – Nella Chicago degli anni Ottanta e Novanta, il futuro presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, ha incrociato più volte la sua strada con quella del cardinale Joseph Bernardin, illustre prelato, figlio di emigrati “primierotti” dal 1982 arcivescovo della città ed indiscusso protagonista in ambito non solo religioso ma anche sociale nella vita pubblica americana. Infatti nel novembre del 1982 la prestigiosa rivista “TIME” dedicò al cardinale la copertina.
Barack Obama è stato affascinato dal pragmatismo religioso dell’arcivescovo Joseph Bernardin. Lo ha incontrato in diverse occasioni ed ha condiviso con lui, fra l’alto, le preoccupazioni per la qualità di vita della popolazione meno abbiente della città di Chicago. Da senatore dell’Illinois ha pure presentato una proposta di legge, definita “emendamento Bernardin”, per estendere a tutti i cittadini dello Stato l’assistenza sanitaria gratuita. Iniziativa legislativa che però venne bocciata dal Senato dell’Illinois. Per Barack Obama, Joseph Bernardin è stato anche un punto di riferimento importante nel periodo della sua conversione religiosa al cristianesimo. Per Barack Obama la Chiesa Cattolica è quella propugnata dal cardinale Joseph Bernardin a Chicago negli anni Ottanta e Novanta.
L’arcivescovo di Chicago ha proposto un modello pastorale definito “seamless garment” (letteralmente “veste senza cuciture”: è un riferimento alla santa tunica di Gesù, un indumento integro e senza fronzoli) che suggeriva alla Chiesa Cattolica di interessarsi sì ai temi etici e al valore della vita, ma puntando in primo luogo sui problemi come la guerra, la povertà, la fame nel mondo.
Nell’importante discorso tenuto il 17 maggio 2009 all’Università di Notre Dame a South Bend in Indiana, Barack Obama ha citato più volte la visione che il cardinale Bernardin aveva della Chiesa Cattolica ed ha espresso dei giudizi lusinghieri sul suo operato che di seguito riporto integralmente: «… io non sono cresciuto in una famiglia particolarmente religiosa, tuttavia mia madre ha instillato in me un senso del servire e un’empatia tali da portarmi, dopo il college, a diventare un organizzatore di iniziative comunitarie. Un gruppo di chiese cattoliche di Chicago ha contribuito a finanziare un’organizzazione conosciuta come “Developing Communities Project (Progetto Comunità in Sviluppo)”, con la quale ci siamo impegnati a risollevare le sorti dei quartieri del South Side di Chicago, colpiti dal degrado dopo la chiusura dell’acciaieria locale.
Si trattava di un gruppo a dir poco eclettico: membri della chiesa cattolica e protestanti, ebrei e afroamericani, residenti neri, bianchi e ispanici della classe operaia, tutti provenienti da esperienze e con credo differenti. Ma abbiamo imparato a lavorare fianco a fianco, perché in questi quartieri vedevamo altri esseri umani che avevano bisogno del nostro aiuto per trovare lavoro e migliorare le scuole.
Ciò che ci univa, tutti noi, era essere al servizio degli altri. Ma qualcosa altro è successo durante il tempo che ho trascorso in quei quartieri. Forse perché i parrocchiani che lavoravano con me mi avevano accolto con calore ed erano così comprensivi, forse perché mi invitavano alle loro messe e mi invitavano a cantare con loro dal libretto dei canti, forse perché ero davvero al verde e mi offrivano da mangiare, forse perché ero stato testimone di tutte le opere buone che la loro fede li aveva ispirati a compiere, mi sono ritrovato a essere attratto non solo dal lavoro con la chiesa, ma “dalla chiesa”. È stato grazie a questa esperienza che mi sono avvicinato a Cristo.
A quei tempi era arcivescovo di Chicago il cardinale Joseph Bernardin. Per chi di voi è troppo giovane per averlo conosciuto o per sapere di chi sto parlando, l’arcivescovo era un uomo gentile, buono e saggio. Un vero uomo di Dio. Me lo ricordo ancora mentre parlava a una delle prime riunioni organizzative a cui ho partecipato nel South Side di Chicago. Rappresentava allo stesso tempo un faro e un crocevia di idee, non aveva paura di parlare apertamente di temi morali che includevano povertà, AIDS, aborto, pena di morte e guerra nucleare. Eppure riusciva ad essere empatico e delicato nella sua fede, cercando sempre di far avvicinare le persone, di gettare le basi per costruire un “terreno comune”.
Poco prima della sua morte, un giornalista ha chiesto al cardinale Bernardin quale fosse il suo approccio al magistero, e la sua risposta fu che “non si può predicare davvero il Vangelo senza prima aver toccato menti e cuori”. Ebbene, la mia mente e il mio cuore sono stati toccati da lui e dalle parole e dalle azioni di uomini e donne con cui ho lavorato nelle parrocchie di Chicago. E voglio pensare che a nostra volta noi abbiamo toccato i cuori e le menti delle famiglie di quei quartieri, le cui vite abbiamo contribuito a cambiare. Perché questa, ne sono convinto, è la nostra più grande vocazione …».
Ma chi era veramente il cardinale Joseph Bernardin che così tanto ha influenzato Barack Obama ed anche i cattolici americani negli ultimi decenni del secolo scorso. Durante la sua lunga carriera ecclesiastica il cardinale Bernardin ha avuto, forse per la sua indole affabile e gentile, frequenti rapporti con i media, anche internazionali. Molti giornalisti gli hanno dedicato articoli, non sempre però veritieri e positivi. L’ho intervistato anch’io alcune volte in concomitanza con i suoi sporadici “soggiorni rigenerativi” nell’amata Valle di Primiero.
Credo però che il ritratto più esaustivo del cardinale di Chicago, sia stato scritto, quest’anno, da un suo amico ed estimatore, il giornalista trentino Paolo Magagnotti. È suo infatti il più recente libro dedicato al presule statunitense dal titolo evocativo “Joseph Bernardin. Cardinale figlio di emigrati trentini che ha affascinato l’America” (Reverdito Editore – 2024).
Nella prefazione del volume, Luigi Bressan, già nunzio apostolico e arcivescovo emerito di Trento annota: «Voler presentare una personalità di queste dimensioni è un’opera gigantesca. Animato da ammirazione e da affetto vi si è impegnato il dott. Paolo Magagnotti, aiutato anche da uno studio in due volumi uscito in America. Non si tratta di una traduzione di quell’opera, ma di una reinterpretazione che tiene conto di altri studi e anche del quadro delle nostre conoscenze, che viviamo in Europa e non più nell’epoca della “guerra fredda”. Non possiamo che essere riconoscenti a Magagnotti per questa sua impresa e augurare una larga diffusione della pubblicazione. Il tempo della lettura non sarà noioso, ma profittevole.
È poi uno speciale onore per il Trentino conoscere meglio il cardinale Bernardin. Anche se vide la luce sul suolo americano, portava il sangue trentino e trentina fu l’educazione religiosa di base ricevuta in famiglia come la solidità del suo carattere. Ed egli amava questa nostra terra. Ora Magagnotti ci permette di conoscere cosa un emigrato può realizzare e come si possa e si debba essere costruttori di pace e di progresso. La fede non è “la ciliegina sulla torta” ma il lievito che solleva la società e rende l’esistenza ricca di frutti».
Per ricordare in modo conciso, soprattutto alle nuove generazioni, la figura e le opere del cardinale Joseph Bernardin, non mi avvalgo di stralci tratti dalla più recente e analitica “fatica letteraria” di Paolo Magagnotti – che invito ad acquistare e leggere – bensì della succinta ma esauriente introduzione sempre del medesimo giornalista trentino scritta per l’edizione italiana del libro di Joseph Bernardin “Il dono della pace. Riflessioni personali” (Editrice Queriniana – 1997). Spiegava Paolo Maganotti: «Joseph Bernardin nasce il 2 aprile 1928 a Columbia, nella Carolina del Sud, dove da pochi mesi erano approdati i suoi genitori, Maria e Giuseppe, emigrando dal Primiero, in Trentino. All’età di sei anni rimane orfano del padre, morto a causa di un tumore. Con la mamma e la sorellina Elaine deve affrontare le sfide della “grande depressione”, in un’area particolarmente povera, dove, fra l’altro, la sua famiglia era una delle poche ad essere cattolica.
Dopo un anno di scuola di avviamento agli studi universitari di medicina, intrapresi con il proposito di diventare medico per “aiutare la gente”, entra in seminario, e il 26 aprile 1952 viene ordinato sacerdote, iniziando il suo ministero in parrocchia a Charleston. La brillante intelligenza e le doti di mediatore fra gruppi di diversa estrazione civile e religiosa di cui è dotato, vengono immediatamente notate dalla gente, e soprattutto, dalla gerarchia cattolica. Il 9 marzo 1966, all’età di trentotto anni, viene elevato alla dignità episcopale, ed è subito il più giovane vescovo degli Stati Uniti; papa Paolo VI lo nomina ausiliare della diocesi di Atlanta, in Georgia, di cui è titolare Paul Hallinan, che nel dicembre 1964 fu il primo ad accogliere Martin Luther King al suo ritorno da Oslo, dove aveva ricevuto il “premio Nobel per la pace”. L’arcivescovo Hallinan vede nell’uomo dei modi gentili e delle belle maniere, dotato di tanta intelligenza e acuta intuizione, la persona che poteva incidere in maniera feconda e forte sulla Chiesa e sulla società americana.
Bernardin viene così coinvolto in termini molto attivi in questioni che non si limitano alla pur complessa arcidiocesi georgiana, ma investono l’intera nazione americana. Assume subito un ruolo incisivo nella elaborazione della “lettera pastorale su guerra e pace” durante la guerra del Vietnam; il documento diventa la base per la “lettera pastorale Guerra in Vietnam”, che poco dopo, il 18 novembre 1966, verrà diffusa dall’intera Conferenza nazionale dei vescovi statunitensi. Le doti del giovane vescovo di Atlanta vengono ben presto apprezzate nel contesto nazionale ed anche nella Curia vaticana. Il 10 aprile 1968 Joseph Bernardin è a Washington come segretario generale della Conferenza nazionale dei vescovi degli Stati Uniti. Il presidente della Conferenza, cardinale Dearden, affida al giovane segretario compiti molto impegnativi e delicati, compresa la riorganizzazione della stessa Conferenza, ritenendo Bernardin la persona più capace di calare nella Chiesa statunitense le indicazioni pastorali del Concilio Vaticano II. In tale ottica Dearden si attiva per far conoscere ulteriormente Bernardin negli ambienti vaticani, dove i più stretti collaboratori del Papa, soprattutto il vicesegretario di Stato, mons. Giovanni Benelli, prendono in grande considerazione le virtù e le doti carismatiche e di mediazione dell’italo-americano. Il 1968 è l’anno dell’assassinio di Martin Luther King, del senatore Robert F. Kennedy e i fermenti sociali si ingigantiscono. Nello stesso anno viene pubblicata l’enciclica “Humanae Vitae” su controllo delle nascite.
Le direttive pontificie creano una spaccatura dirompente nel clero statunitense, con contrasti particolarmente forti fra il cardinale di Washington, Patrick O’Boyle, e i sacerdoti. Papa Palo VI, per mezzo del segretario di stato Cicognani, nomina il giovane vescovo Bernardin mediatore nell’impossibile impresa di trovare elementi di conciliazione. Un rapporto della metà degli anni Sessanta pone in luce il grave fenomeno di sacerdoti e religiosi che abbandonano il ministero; settecento negli Stati Uniti hanno lasciato il sacerdozio per il matrimonio, e sul piano mondiale il numero sale a diecimila. Mentre si trova impegnato in prima fila a dare una risposta a questo preoccupante fenomeno dell’America cattolica e ad imprimere una svolta alla Conferenza nazionale dei vescovi USA, il 21 novembre 1972 il giovane Bernardin viene nominato da Paolo VI arcivescovo di Cincinnati, nell’Ohio.
Non passano che poche settimane e il nome di Bernardin è su tutti i giornali d’America: nel suo sermone di Natale in cattedrale, infatti, assume una dura presa di posizione sulla guerra nel Vietnam, rivolgendosi in termini diretti all’Amministrazione Nixon. Il presidente degli Stati Uniti reagisce all’intervento dell’arcivescovo invitandolo a predicare alla Casa Bianca. Bernardin riflette a lungo sull’invito, ma alla fine accetta e va a predicare sotto il tetto degli uffici più potenti del mondo: è cordiale e gentile e sa rispettare le forme dell’ospitalità, ma nella sostanza non modifica di una virgola la sua posizione sul Vietnam. Nell’accomiatarsi, Nixon lo ringrazia.
È sempre coerente con i messaggi evangelici e non scende mai a compromessi sui principi etici e morali; fortemente coerente è in proposito il suo comportamento quando, il 22 gennaio 1973, la Corte Suprema degli Stati Uniti esprime valutazioni che consentono di accettare moralmente l’aborto. L’arcivescovo Bernardin assume immediatamente una netta posizione contraria: un impegno che diverrà una costante del suo ministero e che nel 1983, già cardinale lo porterà ad assumere per sei anni la presidenza del “Committee for Pro-Life Activities” della Conferenza nazionale dei vescovi USA. Bernardin è sempre attento ai nuovi fermenti sociali che emergono nella complessa società statunitense; un’attenzione che porta una parte del clero e della stessa opinione pubblica a ritenerlo troppo progressista. Egli non si scompone e persegue la sua linea con determinazione pari alla convinzione.
Anche quando, in nome dei vescovi statunitensi, si rivolge al Papa in visita negli USA, pur confermando fedeltà a Roma e alla tradizione cristiana, afferma la necessità di interpretare “i segni dei tempi” anche nelle “chiese locali”, sviluppando una conseguente missione evangelica. La Chiesa statunitense rivuole Bernardin in posizioni di vertice a livello nazionale, e il figlio di emigranti italiani viene così chiamato a presiedere la Conferenza nazionale dei vescovi USA per il triennio 1974-1977.
È di nuovo un periodo di profonde agitazioni; si paventano soprattutto fratture fra la Chiesa come organizzazione formale e le comunità dei fedeli. Il coraggio e la lungimiranza di Bernardin riemergono in maniera così incisiva da polarizzare ancora una volta l’attenzione nazionale e di oltre oceano. Lo vediamo pure guidare delegazioni di vescovi USA all’estero. Particolarmente significative sono le sue visite in Ungheria e Polonia, dove si reca ad Auschwitz per rendere omaggio alle vittime del nazismo.
Contemporaneamente si rafforza il suo ruolo a livello di Chiesa universale: è uno dei quattro delegati della Conferenza dei vescovi USA al Sinodo dei vescovi, eletto per ben sette volte dal 1974 al 1994; nello stesso periodo è eletto cinque volte fra i quindici membri che formano il Consiglio ordinario della segretaria generale del Sinodo dei vescovi. Preso da così tanti impegni, Bernardin si rende conto che le pur importanti responsabilità che lo assorbono non gli devono togliere il tempo da riservare ad un più intimo rapporto con il Signore; decide così di dedicare la prima ora di ogni giorno alla preghiera, per essere “collegato a Dio”: un impegno che manterrà fino alla morte. Nel novembre 1980 i vescovi USA esaminano con preoccupazione il programma dell’Amministrazione Reagan, e decidono di elaborare due lettere pastorali collegiali, una sull’economia e l’altra sulla guerra nucleare.
La guida della Commissione incaricata di trattare la questione più delicata e scottante, quella nucleare, viene affidata a Bernardin. Il documento conclusivo, approvato il 3 maggio 1993, ed avente per titolo “La sfida della pace: la promessa di Dio e la nostra risposta” è profondamente segnato dall’impronta di Bernardin, e diventa oggetto di estesi confronti e dibattiti non solo in America, dove Reagan lo contesta, ma in tutto il mondo. Nel frattempo muore l’arcivescovo di Chicago, cardinale John Cody, figura molto discussa per una serie di sospette operazioni finanziarie e di equivoche frequentazioni personali. Per risollevare le sorti della più distesa arcidiocesi statunitense serve un uomo di indiscussa integrità morale e di eccezionale prestigio.
Il 25 agosto 1982 Joseph Louis Bernardin, nuovo arcivescovo di Chicago, si rivolge ai sacerdoti, ai fedeli e all’intera comunità metropolitana “come coloro che servono”; a tutti dice e dirà: “Sono Joseph, vostro fratello”. L’incontro con la grande metropoli statunitense è amore a prima vista, con folle oceaniche che lo acclamano lungo le rive del lago Michigan … Non passano molti mesi e Chicago esulta per la elevazione del suo arcivescovo al Collegio dei cardinali. L’impatto sull’intera società statunitense assume dimensioni senza precedenti.
Il “principe della chiesa” che consuma sandwich nei bar in compagnia dei senzatetto, rinnova il suo slancio per l’affermazione del messaggio evangelico nel quadro di un processo di rivitalizzazione della Chiesa che sia coerente con le linee del Concilio Vaticano II. Fra i programmi cui Bernardin si dedica con maggiore impegno per il valore che hanno in difesa della dignità umana e per la promozione di una crescita complessiva della società in un mondo sconvolto, vi è quello per una “coerente etica di vita”: aborto, guerra, fame, diritti umani, eutanasia e pena di morte sono altrettanti temi che sostanziano il progetto e che con determinazione e coraggio egli porta nel pubblico dibattito, sostenendoli con forte coraggio alla luce del Vangelo.
Su tali temi, pur nel rispetto nella distinzione fra politica e religione assunta a livello di dogma negli Stati Uniti, egli interviene senza esitazione nel confronto politico quando si tratta di difendere l’irrinunciabile dimensione morale della persona. Pur cosciente di essere un “leader” ascoltato ed influente, non ha mai la pretesa di agire da solo, ma ricerca sempre con ogni mezzo quella “collegialità” che costituisce uno dei cardini del Concilio Vaticano II, e per la quale il Santo Padre nel 1988 gli esprime un particolare “thank you”. Una crescente popolarità ed i numerosissimi riconoscimenti ad ogni livello – le “lauree honoris causa” conferitegli da università di tutto il mondo non si contano – non lo distolgono dagli umili insegnamenti dei suoi genitori: il papà Giuseppe e la mamma Maria. Mentre del padre ricorda spesso l’esempio di dignità dato alla famiglia quando era ammalato di tumore, della mamma richiama di sovente alla mente, anche nelle grandi occasioni, come quando viene fatto cardinale, quello che lei gli ricordò in occasione della sua ordinazione episcopale: “Fila via diritto, e non bearti di te stesso”.
Nel novembre del 1993 un evento “spaventoso e devastante” cambia la vita del cardinale e minaccia di comprometterne la reputazione e la capacità di continuare ad essere “leader” prestigioso; Steven Cook, giovane ammalato di AIDS, che frequentava il seminario di Cincinnati quando Bernardin era arcivescovo in quella città dell’Ohio, lo accusa di aver abusato sessualmente di lui unitamente ad un altro sacerdote, e lo trascina in una causa con il sacerdote che l’abuso lo aveva realmente commesso. In poche ore la notizia fa il giro del mondo. Bernardin, l’arcivescovo che per primo aveva elaborato un organico programma con linee di condotta per combattere abusi sessuali da parte degli ecclesiastici, si sente distrutto, colpito al cuore in ciò che gli dava una forza particolare per essere “leader”: la sua reputazione.
Ben presto, tuttavia, il caso si chiarisce, e pochi mesi dopo il querelante, di sua iniziativa, chiede formalmente all’autorità giudiziaria di far cadere l’accusa. L’accusatore, con il quale Bernardin si riconcilia in occasione di un incontro a Philadelphiail 30 dicembre 1994, era stato istigato a coinvolgere il cardinale nell’infamante accusa da un sacerdote, il quale, per raggiungere il suo scopo, aveva inviato il giovane da un’ipnotista affinché lo convincesse che Bernardin aveva realmente abusato di lui. Sollevatosi da questa terribile esperienza, il cardinale riprende con impegno e rinnovato entusiasmo il suo ministero, compiendo fra l’altro viaggi nelle Filippine, in Australia, Nuova Zelanda e Israele.
Sembra che tutto proceda per il meglio, quando nel giugno 1995 gli viene diagnosticato un tumore maligno al pancreas. Subisce un intervento chirurgico, con poche possibilità di vivere altri cinque anni. Dopo l’operazione e le connesse terapie, sembra che la ripresa sia buona. Non passa molto tempo che nuovi disturbi portano alla scoperta di un’accentuata stenosi spinale, dell’osteoporosi e della curvatura della spina dorsale; il corpo gli si accorcia di circa dieci centimetri. Nell’agosto del 1996, mentre ritiene di essere quanto meno stato “liberato dal cancro”, una risonanza magnetica rivela cinque metastasi al fegato. La sentenza dei medici non lascia speranza: il cancro è inoperabile e le prospettive di vita non superano l’anno. Come è suo costume, informa anche di questa triste scoperta l’opinione pubblica.
In un’affollatissima conferenza stampa, il 30 agosto 1996 dà personalmente il mesto annuncio, e davanti alle telecamere commenta: “Possiamo vedere la morte come un nemico e come un amico. Come persona di fede vedo la morte come un amico, come passaggio dalla vita terrena alla vita eterna”. Raccogliendo in sé le poche energie fisiche che gli rimangono, continua il suo ministero. Con una forza ed una determinazione straordinarie visita ancora ammalati di tumore, assiste condannati a morte prima dell’esecuzione capitale e si rivolge alla Suprema Corte degli Stati Uniti perché neghi il diritto al suicidio assistito.
Il 9 settembre il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, gli consegna alla Casa Bianca la “Medaglia della Libertà”, massimo riconoscimento civile della Nazione americana; nello stesso giorno Bernardin tiene una memorabile conferenza alla George Town University. Tre giorni dopo, reggendosi con l’aiuto di un bastone, si mette davanti al Capitol di Washington e prende posizione contro la politica del presidente Clinton in materia di aborto. Animato dal profondo desiderio di esprimere le sue più intime riflessioni su questioni di fede, fatti ed eventi che hanno segnato la sua vita negli ultimi tre anni, scrive il libro “Il dono della pace. Riflessioni personali” edito da “Loyola Press” negli USA e da “Editrice Queriniana” in Italia. Nella notte del 14 novembre 1996, ad ore 1.33, il cuore buono e generoso di Joseph Louis Bernardin cessa di battere. Poche ore dopo, la notizia è diffusa in tutto il mondo. La sua salma rimane esposta in cattedrale per tre giorni e tre notti, per consentire a folle di fedeli e cittadini di ogni credo – innumerevoli sono i poveri – di rendere omaggio al loro cardinale.
I funerali sono un evento mondiale, le maggiori televisioni del pianeta li trasmettono in diretta. Nei pochi giorni seguenti la sepoltura, le persone che visitano il suo sepolcro al mausoleo del cimitero del Monte Carmelo, a Hillside, superano di gran lunga quelle che si sono recate al mausoleo stesso dalla data della sua costruzione, nel 1902. Nel suo discorso inaugurale, il 20 gennaio 1997, il presidente americano Bill Clinton richiama all’attenzione della nazione americana l’esempio del cardinale Bernardin assieme a quello di Martin Luther King. Le citazioni dei pensieri di Bernardin, le iniziative in suo nome e le testimonianze coerenti con il suo insegnamento sono realtà quotidiane in terra americana, e anche oltre. Il suo esempio di figlio di poveri emigranti che ha affascinato l’America e commosso il mondo e che nel morire ha insegnato a vivere, è stato e sarà un servizio per tutta l’umanità. Nei libri di storia, le future generazioni leggeranno il nome di Joseph Louis Bernardin fra quelli dei grandi del XX secolo».