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Dicembre 1916, Tragico inverno al fronte dal Lagorai alle Dolomiti: migliaia di soldati morirono sotto le valanghe

Secondo alcune fonti storiche, le valanghe nel dicembre 1916 provocarono sul fronte tra Italia ed Impero Austroungarico, quasi 10.000 morti

Inverno 1916: in primo piano la Cavallazza e sullo sfondo, la parte alta della Val Cigolera ed il Colbricon. – Rundblick, aufgenommen am Cavallazza am 21. Februar 1916

di Ervino Filippi Gilli

Primiero Vanoi (Trento) – Se quest’anno, a parte una insignificante nevicata, non si è ancora visto un fiocco di neve, in altri anni le nevicate si registrarono durante i mesi “normali” e furono abbondanti. Gli inverni di 100 anni fa, quello tra il 1915-16 ed il successivo, videro cadere una quantità di neve impressionante e, ma non esistono dati certi, l’altezza delle precipitazioni fu tale per cui nessun inverno seguente (neanche il mitico 1951) riuscì a superarla.

Soprattutto l’inverno 1915-16 vide la formazione di numerosissime valanghe che secondo alcune fonti provocarono sul fronte tra Italia ed Impero Austroungarico quasi 10.000 morti: ma neppure la stagione invernale successiva non fu priva di precipitazioni e, di conseguenza, di valanghe.

Nella parte di fronte compreso tra la Valle del Vanoi e la Val Travignolo, o meglio tra il Passo Cinque Croci e Cima Bocche, i movimenti delle masse nevose furono molti: non è noto se tutte le valanghe furono causate da una instabilità naturale del pendio o furono provocate artificialmente. A ben pensare anche ora, pur con mezzi e per finalità diverse, si cerca di liberare i pendii dalle masse instabili: questa era durante la Guerra Bianca una prassi che mieteva quasi più vittime che gli scontri a fuoco veri e propri.

Il Castellazzo fotografato domenica 11 dicembre

Ritornando alle nostre valli, proprio il 15 dicembre 1916 si verificarono alcuni distacchi spaventosi: secondo Diego Leoni (La guerra verticale pag.170 – Enaudi – 2015) “ in una di esse, al Cauriol (alto Vanoi), slittarono oltre 2 milioni di metri cubi di neve”.

Questa valanga gigantesca passò a fianco degli accampamenti del Campigol del Fero e del cosiddetto Gravon, ed è citata anche da Paolo Monelli (Le scarpe al sole – pag 111 – Neri Pozza Editore – Maggio 1994 ).

“E allora s’aduna la molle insidia della valanga in alto e romba a valle con un ululio tragico; inopinata, impreveduta, illogica, non dove abeti spezzati la facevano presagire, ma per nuovi cammini, sulle baracche, sui ricoveri dove la necessità di guerra li ha costruiti.

Non c’è difesa, non c’è arte che le tenga lontane

Sono cadute sulle cucine e sulla compagnia della selletta, sulla tettoia dei muli e sul comando del battaglione; l’altro giorno se ne è staccata una enorme dalla cima, è venuta a finire ottocento metri più bassa, schiantando il bosco, cambiando muso alla montagna, portando via uomini e baracche. Gli ufficiali del genio han calcolato che la valanga era due milioni di metri cubi di roba, e han detto che andrà sul bollettino.”

In altre zone del fronte le slavine chiesero il loro contributo di vite umane: una seppellì due batterie da 149 mm nella zona del Castellazzo a Passo Rolle (cima conquistata dall’Esercito Italiano quasi senza colpo ferire in quanto ritenuta indifendibile dall’esercito Austrungarico perché isolata) mentre nella Val Travignolo ed a Cima Bocche si ricordano le due valanghe che causarono 3 morti la prima, un sepolto la seconda.

Ben più tragiche furono però le conseguenze della slavina nella zona di Malga Ces – Colbricon dove vennero sepolti altri 31 militari italiani, sepolti temporaneamente nel cimitero militare di San Martino di Castrozza.

 

La valanga del 2014 sul Monte Cauriol. Il fenomeno, che ha provocato quasi 10.000 mc di legname schiantato, può essere ritenuto simile a quello del dicembre 1916
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