ANEF chiede misure urgenti e di indennizzo commisurate al danno subito dalle società funiviarie – riprendendo i discorsi già avviati nei mesi scorsi – a tutela di tutta la filiera turistica montana e dei suoi lavoratori. Tante imprese sono a rischio chiusura e ci sono oltre centomila lavoratori, tra fissi e stagionali, in tutto l’indotto che sono ancora senza alcun sussidio economico
NordEst – L’associazione, attiva da quasi 50 anni, rappresenta, in termini numerici e di fatturato, oltre il 90% delle imprese attive in Italia. Le aziende sono state completamente bloccate e impossibilitate a lavorare fin dal 10 marzo 2020 e a dicembre 2021 arriveranno a 21 mesi senza ricavi, a fronte di costi strutturali che superano, a livello aggregato, i 600 milioni di euro annui.
ANEF, l’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari, ritiene indispensabile garantire un futuro alla filiera socio-economica delle comunità di montagna, che rappresenta una colonna portante per il presidio del territorio montano italiano e che garantisce un’importante percentuale del PIL del turismo nazionale.
L’associazione è attiva da quasi 50 anni e rappresenta oltre il 90% delle imprese attive in Italia, con circa 1800 impianti associati su un totale di 2000, distribuiti su Alpi e Appennini, in tutte le Regioni sia a Statuto Ordinario che a Statuto Speciale, e una forza lavoro che supera le 15.000 unità, tra collaboratori fissi e stagionali. Le aziende associate generano un fatturato aggregato annuo che, in media, supera gli 1,1 miliardi di Euro (di cui circa 850 milioni di Euro dalla sola attività di vendita dei titoli di transito), e un indotto a favore del sistema socio economico territoriale calcolato tra 7 e 10 volte.
È l’unica associazione di categoria del settore riconosciuta da Confindustria, aderisce a Federturismo Confindustria, ed è anche l’unico interlocutore accreditato presso le Organizzazioni Sindacali ai fini del rinnovo del CCNL di settore. In ambito internazionale, ANEF aderisce a FIANET (Fédération Internationale des Associations Nationales d’exploitation de telepheriques) e OITAF (Organizzazione Internazionale Trasporti A Fune).
La presidente ANEF, Valeria Ghezzi sottolinea: “La categoria risulta tra le più danneggiate dalle conseguenze dell’epidemia in quanto, pur non rappresentando lo sci un’attività di per sé stessa pericolosa ai fini del contagio, le aziende sono state completamente bloccate e impossibilitate a lavorare fin dal 10 marzo 2020, in ragione della scelta, peraltro comprensibile, di limitare la mobilità dei turisti e di evitare qualsiasi occasione di assembramento. I continui spostamenti delle date di apertura, prima annunciate e poi annullate con ben 7 rinvii in 3 mesi, hanno comportato, oltre alla profonda delusione di tutti gli operatori, enormi disagi organizzativi e pesanti costi di preparazione, che ora compromettono la sostenibilità aziendale. I gestori delle aree sciabili infatti, avendo completamente perso ogni occasione di ricavo per la stagione invernale 2020-2021, si stanno trovando in una situazione di grave difficoltà, per la necessità di continuare a sostenere gli ingenti costi fissi, senza poter contare su alcuna prospettiva di incasso da oggi fino a dicembre 2021. In totale saranno 21 mesi senza ricavi, a fronte di costi strutturali che superano, a livello aggregato, i 600 milioni di Euro annui”.
In ragione della grave situazione generale del settore, già dal mese di dicembre 2020 ANEF, anche grazie al solido supporto ed alla concreta vicinanza di alcuni Parlamentari sia della maggioranza sia dell’opposizione, ha avviato un intenso confronto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, al fine di arrivare alla definizione di misure di indennizzo che potessero risultare adeguate e coerenti con la dimensione del danno subito dalle singole società.
Con grande senso di responsabilità, l’Associazione ha voluto basare il confronto su dati oggettivi, certi e verificabili. Per fare questo ha avviato un’approfondita indagine alla quale hanno partecipato più di 170 aziende associate, per un totale di ca. 1200 impianti su 1800, che si sono rese disponibili ad operare una riclassificazione analitica dei propri bilanci, allo scopo di far emergere in modo puntuale sia il valore della produzione (valore medio in un anno normale rispetto al dato 2020/2021), sia l’incidenza dei costi, considerati in ogni singola voce e suddivisi tra fissi, semi-fissi e variabili.
Tale indagine, presentata al Governo a metà gennaio, ha fornito prova oggettiva di quanto ANEF aveva già rappresentato negli incontri istituzionali con i vari interlocutori politici. In particolare, è emerso che il comparto presenta delle peculiarità che lo differenziano da tutti gli altri settori industriali del Paese, in quanto concentra quasi il 90% degli incassi annuali in soli 4 mesi (dal 1° dicembre al 31 marzo circa) e, al contempo, deve confrontarsi con una struttura di costi fissi estremamente rigida, tanto che i costi incomprimibili, in quasi tutte le aziende, superano abbondantemente il 70% del fatturato.
L’intenso confronto con il Governo sulle misure di indennizzo ha portato nelle scorse settimane a individuare come ragionevole l’applicazione anche in Italia del modello studiato in Francia e già notificato alla Commissione Europea. Un modello che, partendo dai limiti imposti dal “Temporary Framework”, garantisce tempestività nell’intervento e tutela degli interessi dello Stato, in quanto offre il vantaggio di consentire una definizione rapida e sicura dell’entità dell’indennizzo di spettanza ad ogni impresa, pur nel rispetto di tutte le necessarie procedure di controllo e di verifica dei requisiti dei singoli richiedenti.
Ora che il Governo presieduto dal professor Mario Draghi ha completato le procedure di insediamento, ANEF conferma la propria totale disponibilità a collaborare e chiede di agire con urgenza e tempestività, riprendendo il lavoro già fatto, così da garantire a tutti gli operatori della montagna il giusto indennizzo, più volte promesso.
L’urgenza è motivata dal fatto che non può essere sottovalutato, oltre al rischio di chiusura di molte società, il probabile blocco degli investimenti in nuovi impianti e tecnologie, solitamente realizzati nel periodo estivo (150 milioni di Euro a livello nazionale nel solo 2020) con conseguente perdita di competitività rispetto ai concorrenti stranieri e, cosa ancora più grave, la riduzione degli effetti da “moltiplicatore economico” garantiti all’indotto, cioè a tutte le imprese edili, agli artigiani e alle innumerevoli figure professionali coinvolte nella realizzazione di ogni progetto.
E non può essere ignorata anche la situazione dei lavoratori: sia fissi, circa il 35-40% del totale, per i quali sarà necessario prevedere il prolungamento della cassa integrazione, ma soprattutto dei 10.000 lavoratori stagionali (che diventano 90.000 se valutiamo l’indotto). Attualmente tutte queste persone, per lo più residenti nelle vallate di montagna, risultano prive di qualsiasi ammortizzatore sociale o altra forma di sostegno al reddito. Dare un segnale di speranza a queste famiglie, per evitare una grave crisi sociale e la perdita di importanti competenze professionali maturate in molti anni di attività (macchinisti, piloti dei mezzi battipista, tecnici degli impianti di innevamento programmato, soccorritori, ecc.) è una priorità assoluta.
Risulta, dunque, estremamente urgente attivare idonee misure di indennizzo per il danno subito dalle società funiviarie a favore della sicurezza e della salute di tutti i cittadini. Tali misure dovrebbero essere rapide, dirette ed erogate sotto forma di capitale immediatamente utilizzabile (sono da evitare altre forme quali il credito d’imposta o l’incentivo all’investimento), perché molti operatori, dopo 12 mesi senza ricavi, soffrono una tremenda crisi di liquidità, non sono più in grado di ricorrere al credito bancario e iniziano a non avere la possibilità di fare fronte nemmeno alle spese correnti.