L’opera di Maura Delpero è candidata nella categoria Miglior Film e Miglior Regista. Le nomination sono votate dai 5.000 membri della European Film Academy. I premi di questa 37^ edizione saranno consegnati il 7 dicembre a Lucerna, in Svizzera
di GianAngelo Pistoia
NordEst – È uscito nelle sale cinematografiche italiane lo scorso 19 settembre il film “Vermiglio” della regista bolzanina Maura Delpero, vincitore del “Leone d’argento – Gran premio della giuria” alla 81^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Si tratta di una produzione “Cinedora” con “Rai Cinema”, in coproduzione con “Charades Productions” e “Versus Productions”, prodotto con il sostegno di “MiC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo”, con il supporto di “Eurimages” e il contributo del “Fondo di Coproduzione Italia – Francia”, in collaborazione con “Trentino Film Commission”, con il sostegno di “IDM Film Commission Südtirol”, “Aide aux Cinémas du Monde”, “Centre National du Cinéma et de l’Image Animée” – Institut Français”, “Région Ile-de-France”, con distribuzione italiana “Lucky Red” e distribuzione internazionale “Charades”.
Riuscire a creare una ottimale sinergia fra tutti questi enti è stata una fatica improba per la regista Maura Delpero che però puntualizza: «È importante fomentare il dialogo tra cinema indipendente e istituzioni, dobbiamo difendere la cinematografia e la bellezza. Senza i fondi pubblici il mio film avrebbe tradito se stesso, non avrei potuto usare il dialetto, il film non avrebbe avuto la sua musica interna, non avrei potuto guidare lo spettatore in un viaggio nel tempo e nello spazio, né ascoltare il silenzio e i tempi della montagna».
È appunto in montagna che Maura Delpero ha individuato le “location” giuste e imprescindibili per ambientare il suo film. Opera girata al 98% in Trentino-Alto Adige: “in primis” nella Val di Sole in Trentino (a Vermiglio e a Carciato in frazione di Dimaro), poi in Val di Pejo (a Comasine) e al Passo del Tonale; quindi in Alto Adige tra i paesaggi boscosi della Bassa Atesina (presso il Convento di San Floriano in località Laghetti in frazione di Egna ai piedi del monte Madrutta). La parte del film ambientata in Sicilia è stata invece girata a Roma.
Al padre di Maura Delpero, originario di Vermiglio, e a un sogno della regista è da ascriversi la genesi del film “Vermiglio”. Chiosa Maura Delpero: «Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate. Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti di bambino. L’avevo già sentito che da anziani si torna un po’ fanciulli, ma non sapevo che quelle due età potessero fondersi in un unico viso. Nei mesi a seguire è venuto a trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia, a Vermiglio. Aveva sei anni e due gambette da stambecco, mi sorrideva sdentato, portava questo film sotto il braccio: quattro stagioni nella vita della sua grande famiglia.
Una storia di bambini e di adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri. Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. “Vermiglio” è un paesaggio dell’anima, un “lessico famigliare” che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo personale, vuole omaggiare una memoria collettiva».
Il film “Vermiglio”
«È l’ultimo anno della seconda guerra mondiale e un disertore, un soldato siciliano, trova rifugio a Vermiglio, paese montano a pochi chilometri dal confine austriaco, in Trentino. La sua non è solo una fuga: ha portato in salvo, a casa, un commilitone ferito, caricandoselo sulle spalle per chilometri. Lì ha trovato un paese sospeso nel tempo, tra le nevi di una valle dove il conflitto non è mai arrivato e la vita contadina è rimasta identica a sé stessa nella sua inerzia secolare.
La piccola comunità accoglie il ragazzo, decide di nasconderlo, per dignità e riconoscenza. Ogni tanto si accende un lampo di diffidenza in qualcuno dei paesani: in fondo anche i giovani del posto, i coetanei del siciliano, che di nome fa Pietro, hanno abbandonato i campi e sono andati in guerra; eppure loro non sono scappati, loro in guerra ci sono rimasti, qualcuno ci è pure morto. Perché allora ospitare un forestiero, uno che è vivo solo perché si è fatto furbo?
Le turbolenze però si spengono sempre, anche grazie ai rimbrotti del maestro di scuola, la guida morale di Vermiglio: è lui che – mosso da una “pietas” salda anche se inquieta – decide che il ragazzo va protetto. E non cambia idea neanche quando Pietro, audacemente, chiede la mano di sua figlia maggiore, Lucia – così scrive Matteo De Giuli in un esaustivo articolo pubblicato dal magazine “Lucy sulla Cultura” e prosegue – “Vermiglio”, in concorso a Venezia81, è un film corale, un film di guerra dove la guerra non c’è: la guerra è indicibile, è uno spettro che si agita al di là delle montagne, che riverbera la sua luce crudele in altre valli lontane da questa. E così alla guerra il paese sopravvive nella povertà, nel lavoro, chiudendosi in un suo tipico orgoglio rurale.
Per la famiglia del maestro il vero dramma arriva, inaspettato, dopo la tregua, quando Pietro parte per qualche giorno, per andare a riabbracciare la famiglia e gli amici nella Sicilia liberata. Non tornerà più. Maura Delpero cita Haneke tra i registi preferiti. Si capisce il perché, si intuisce cioè l’ambizione della regista a una geometria simile, sia nell’estetica dell’inquadratura – che in “Vermiglio” alterna il campo largo e struggente dei paesaggi alpini ai primi piani, imperfetti, tragici, dei volti e dei corpi dei paesani – sia nella linearità del racconto, che procede inesorabile e lento, senza alambicchi.
L’ispirazione cinematografica più facile da rintracciare in “Vermiglio” però è quella dell’“Albero degli zoccoli”, il capolavoro di Olmi ambientato nella Bassa Bergamasca: anche “Vermiglio” è recitato in dialetto, anche “Vermiglio” cerca un realismo contadino poetico ma non sentimentale o condiscendente, anche in “Vermiglio” l’essenzialità di alcune scene è sporcata e arricchita dalla spontaneità degli attori non professionisti. “L’albero degli zoccoli” era accompagnato dalle musiche di Bach, in “Vermiglio” le opere di Chopin e di Vivaldi hanno un ruolo centrale nel definire l’atmosfera del film. In questo caso il maestro, l’uomo di cultura del paese, ascolta sul grammofono alcuni preziosi dischi che è riuscito a comprare nonostante le ristrettezze del periodo.
Ma si possono intravedere anche altri modelli. Natalia Ginzburg, inevitabilmente, per la cura con cui Maura Delpero costruisce le dinamiche e il lessico famigliare che scuote le mura a casa del maestro, una casa densamente popolata: tre figlie femmine e cinque maschi, ma quasi si perde il conto, e qualcuno ne arriva più avanti, e un bimbo muore neonato. È questo il coro a maggioranza femminile: Adele (Roberta Rovelli), la moglie del maestro, dimessa, silenziosa, eppure risoluta nei momenti decisivi, rimane di nuovo incinta in tarda età. Ada, la sorella di mezzo, che scopre le foto pornografiche del padre, che gli ruba le sigarette dal cassetto, che si prende una cotta per la ragazza ribelle del paese, e che finirà poi per farsi suora per senso di colpa e per questioni di economia familiare. Flavia, la sorella minore, la prediletta del padre-maestro, quella che legge il giornale ad alta voce per tutti, quella intelligente, quella che deve studiare. Lucia, che si innamora appunto di Pietro, e lo sposa, e che quando lui scomparirà cadrà in depressione – “si mette in un angolo come i gatti che vogliono morire” – finché non troverà le forze per andare da sola in Sicilia.
E poi i figli più piccoli, che scorrazzano per le stanze, e quello più grande, Dino, che al padre non piace, e che da maestro lui boccia: “per lavorare nei campi non serve nessun diploma”. I dialoghi sono scritti con una ironia ingenua e sagace, che a volte ricorda i libri di Meneghello, il modo in cui lo scrittore raccontò l’assurda comicità della guerra. La sua anti-retorica nasceva – come notò Cesare Segre – dal “recupero di una logica infantile, o primitiva, entro un discorso maturo”.
Una cosa non troppo dissimile succede in “Vermiglio”, dove la sera, a letto, parlando tra loro, i bambini, come gli adulti, si confrontano sulle grandi cose della vita senza riuscire a capirle, e forse proprio per questo ne colgono alcuni aspetti decisivi: così la guerra lontana è quella cosa che “è come se sei vivo però poi no”; il siciliano che disegna cuoricini per la sua innamorata lo fa non solo perché è romantico ma anche perché “analfabeto”; e alla morte del neonato di casa, il minore dei fratelli chiede al maggiore: “È andato in cielo con le ali?”. “No con l’anima”, risponde l’altro sicuro. “Che roba è?”. “Non lo so”, ammette poi con la stessa rapidità».
Chi è Maura Delpero
Maura Delpero è nata a Bolzano. Dopo gli studi in lettere, a Bologna e Parigi, e in cinema, a Buenos Aires, con i suoi primi documentari – su tutti “Signori professori” e “Nadea e Sveta” entrambi premiati al Festival di Torino – esplora il confine tra finzione e non finzione. Il suo film d’esordio, “Maternal”, è premiato al 72° Festival di Locarno e partecipa a oltre cento appuntamenti internazionali, da San Sebastian a Londra, da Chicago a Mar del Plata, oltre a valerle – tra gli altri riconoscimenti – il “Kering Women in Motion Young Talent Award” al 73° Festival di Cannes. “Vermiglio” è il suo secondo film, presentato in concorso alla 81^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e premiato con il “Leone d’argento – Gran premio della giuria”.
«Nella mia vita ci sono tanti capisaldi, tanti luoghi che iniziano con la lettera “B” – Bolzano, Bologna, il Bangladesh e, infine, Buenos Aires – e che mi hanno resa una cittadina del mondo. Sono nata a Bolzano e mi sono formata a Bologna, città di grande fruizione, ma di poca produzione visiva – racconta la regista Maura Delpero in un’intervista rilasciata al quotidiano online “Cinecittà News” – Venivo da una città dove non c’erano sale cinematografiche e sono arrivata in una città dove c’è una cineteca meravigliosa: sono diventata bulimica di cinema, ma a livello professionale è entrato tardi nella mia vita. Ho insegnato per tanti anni. La sensazione era che mancasse qualcosa. Sentivo la necessità di creare ed esprimermi creativamente, ma non sapevo in che modo. Poi c’è stata l’occasione di accompagnare un amico regista che girava un documentario in Bangladesh. Lì ho sentito chiaramente che era quello che stavo cercando. Avevo circa 28 anni ed è iniziato il mio percorso di formazione, democratico, da autodidatta, in cui ho scoperto sbagliando. Buenos Aires è la mia seconda casa, dove vivo da tanti anni. È stata una scelta personale senza una motivazione, uno di quegli amori che non ti spieghi, come il cinema.
Dopo una prima parte di carriera da documentarista, mi sono buttata sulla finzione, prima con “Maternal” e ora con “Vermiglio”, mia opera seconda. Eppure non ho mai abbandonato un approccio che mette la realtà delle cose davanti a tutto. Ho scelto il documentario perché ho un forte amore per la realtà, inoltre ti offre un’accessibilità maggiore. Molto del cinema contemporaneo interessante viene da quel mondo. Persone che non erano destinate a questo mestiere, ma che avevano un grande desiderio e hanno avuto accesso all’industria sperimentando e inventando. Studio molto, sto molto attenta al rigore filologico. Nel paese di Vermiglio non si parla italiano neanche oggi, figuriamoci nel 1944.
Sarebbe stato un falso storico non usare il dialetto, nel cinema si fanno forzature, ma io volevo offrire un viaggio nello spazio e nel tempo. Ora arriverà la sfida più grande, quella del botteghino. Il mio non è certamente un cinema “facile” per il grande pubblico: non ho coscienza di quanto sia difficile il mio cinema perché rispecchia la mia sensibilità di spettatrice e di persona. Non c’è filtro, non c’è distanza. Ho una grande fiducia nello spettatore. Ce ne sono tanti che vogliono essere attenti e attivi. Senza demonizzare l’intrattenimento, io cerco nel cinema quello che cerco nella letteratura e nella pittura. Non vado al cinema per essere presa per mano, voglio sentire che dall’altra parte c’è un autore. Non a caso quello di Venezia è un festival di Arte Cinematografica.
Dopo “Vermiglio”, costato appena quattro milioni di euro, questo premio mi darà forse una maggiore libertà creativa e artistica. Il cinema non è mai libero, se volessi un’arte libera ne dovrei scegliere un’altra. C’è un limite che è principalmente produttivo. Il controllo assoluto ci sfugge, ci vuole una flessibilità continua. Ho sempre dovuto tagliare scene, cambiare qualcosa sul set: è tutto un imprevisto. Un’arte di difficile gestione, ma che voglio continuare a fare. Questo lavoro è una felice condanna: è la mia vita. Mi vengono chiesti lavori su commissione, alcuni li ho già rifiutati, ma non escludo nulla. Ho solo ventiquattro ore e una vita corta: vorrei fare le cose che mi interessano. Difficilmente accetterò di fare cose che siano lontane da me, sono un po’ una rompiscatole».
“Vermiglio” in Italia e all’estero
Il film “Vermiglio” è stato presentato in concorso alla 81^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il 2 settembre e ha vinto il “Leone d’argento – Gran premio della giuria” il 7 settembre. Il 14 settembre c’è stata una “proiezione speciale” del film “Vermiglio” nell’omonimo paese di montagna trentino dove è stato per lo più girato. Nell’occasione il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, rivolgendosi all’ospite d’onore, la regista Maura Delpero, e al numeroso pubblico presente ha affermato: «Siamo felici di avere oggi con noi la regista e quasi il cast al completo del film “Vermiglio”. Opera che racconta mirabilmente un territorio di montagna, simbolo del nostro Trentino, con le sue bellezze ambientali ma anche con le difficoltà e i momenti difficili del vivere nelle “terre alte”. Un film che parla di Vermiglio e del Trentino – vincitore di un prestigioso premio a Venezia e si auspica anche di altri riconoscimenti internazionali in un prossimo futuro – veicola fuori dalla nostra provincia l’immagine di una comunità coesa, che è laboriosa e sa vivere il suo territorio e farlo crescere».
Il 19 settembre il film “Vermiglio” è uscito nelle sale cinematografiche italiane dove è stato accolto favorevolmente sia dal pubblico che dalla critica e si avvia a conquistare pure il “box office”. I produttori di “Vermiglio” lo hanno iscritto nella lista, composta da diciannove film, che hanno concorso alla designazione dell’opera candidata a rappresentare l’Italia nella selezione per la categoria “International Feature Film Award” (Premio al Film Internazionale) alla 97^ edizione degli “Academy Awards”.
Il comitato italiano di selezione, istituito presso l’Anica, su richiesta dell’“Academy of Motion Picture Arts and Sciences”, si è riunita per votare e designare il film lo scorso 24 settembre e ha scelto “Vermiglio” della regista bolzanina Maura Delpero con questa motivazione: “per la sua capacità di raccontare l’Italia rurale del passato, i cui sentimenti e temi vengono resi universali e attuali”. “Vermiglio” quindi concorrerà per la “shortlist” che includerà i quindici migliori film internazionali selezionati dall’Academy e che sarà resa nota il 17 dicembre 2024. L’annuncio delle “nomination” (la cinquina dei film nominati per concorrere al premio del film internazionale) è previsto per il 17 gennaio 2025, mentre la cerimonia di consegna degli Oscar si terrà a Los Angeles il 2 marzo 2025. Un’attesa quella di Maura Delpero spasmodica: ma come recita un proverbio popolare “se son rose fioriranno”. Nel frattempo la regista bolzanina è impegnata a accompagnare la sua “creatura” in giro per il mondo poiché molti festival cinematografici internazionali ambiscono inserire il film “Vermiglio” fra le loro proposte culturali.