Il novantenne stilista piacentino racconta: «Faccio questo lavoro per passione, una passione assoluta, bruciante, viscerale. Lo faccio con entusiasmo, impegno e dedizione. Non è la fama che mi ha spinto su questa difficile strada. Non è stato nemmeno il denaro che non può comprare l’eleganza. Realizzare cose belle, questo è ciò che mi ha sempre motivato».
di GianAngelo Pistoia
NordEst – Giorgio Armani, unanimemente considerato il “re della moda internazionale”, lo scorso 11 luglio ha compiuto 90 anni. Giorgio Armani è un eccelso stilista, un avveduto imprenditore e un raffinato uomo di cultura. La sua vita è degna di essere narrata poiché è quella di un “self-made man”, ovvero di una persona che con la sola propria tenacia e laboriosità è riuscita a affermarsi in un ambiente competitivo e talvolta cinico qual è quello della moda. Il suo modo di lavorare, di creare stili e tendenze è stato analizzato, studiato e spesso anche imitato dai suoi colleghi come si evince dagli articoli che molti media gli hanno dedicato e che di seguito, ripropongo per stralci.
Così Giorgio Armani si racconta – in modo esaustivo citando anche degli aneddoti – in occasione del novantesimo compleanno. «Nel 1982 mi sorprese molto che una prestigiosa rivista, quale “TIME”, mi dedicasse la sua copertina. Al momento non diedi molta importanza a ciò; infatti all’epoca ero intento a imparare a disegnare abiti e a fare l’imprenditore. Capì l’importanza di quella copertina solo quando Valentino, incontrandomi per caso, mi salutò con uno squillante “Però bravo!”. E quando scoprì che fino ad allora, fra gli stilisti, solo Christian Dior, aveva ottenuto questo riconoscimento, però quarant’anni prima. La copertina di “TIME” segnò un ideale spartiacque nella mia carriera professionale. Se fino al 1982 ero conosciuto prevalentemente in Europa, dopo questo evento, il “Giorgio’s Gorgeous Style”, come lo definì “TIME” si impose in tutto il mondo.
Ma riavvolgiamo un po’ la “pellicola” della mia vita. Sono nato a Piacenza nel 1934. Agli inizi degli anni Sessanta mi trasferì a Milano e frequentai per due anni la facoltà di Medicina all’Università Statale. In quel periodo ero timido, fragile, goffo. Ero un ragazzo carino, molto civile e piacevo alla gente. Abbandonati gli studi ho trovato lavoro, sempre a Milano, come “buyer” per i magazzini “la Rinascente”, allora vera e propria fucina di talenti creativi. Ho lavorato inoltre come assistente fotografo, prima di accettare un incarico nell’ufficio promozione di un’agenzia di moda. Qui ho avuto modo di conoscere, e quindi anche di far conoscere, prodotti di qualità che provenivano dall’India, dal Giappone e dagli Stati Uniti, introducendo così elementi tratti da culture straniere nell’eurocentrico universo del fashion milanese e dei consumatori italiani. Nel 1965 – prosegue Giorgio Armani – sono stato assunto da Nino Cerruti per dare un nuovo volto al marchio Hitman del Lanificio Francesco Cerruti. Senza avere una vera e propria formazione specifica, ho disegnato la mia prima linea di abbigliamento maschile».
Dopo sette anni, incoraggiato anche dall’amico e futuro socio Sergio Galeotti, lo stilista lascia Cerruti per diventare un disegnatore di moda e un consulente “freelance”. Gratificato dei numerosi successi e dai riscontri ottenuti, decide di aprire una propria casa di produzione con un marchio autonomo. Il 24 luglio 1975 nasce la “Giorgio Armani S.p.A.” e viene lanciata una linea di “pret-à-porter” maschile e femminile. L’anno dopo presenta, nella prestigiosa Sala Bianca di Firenze, la sua prima collezione, molto acclamata per le sue rivoluzionarie giacche “destrutturate” e per il trattamento originale degli inserti di cuoio che appaiono nei vestiti dedicati alla linea casual. Di colpo Armani dona prospettive nuove e inconsuete a elementi del vestiario ormai dati per scontati, come appunto quelli per uomo. La sua famosa giacca si libera delle costrizioni formali mutuate dalla tradizione, con le sue linee squadrate e severe, per approdare a forme libere e fascinose, sempre e comunque controllate e di classe. Insomma, Armani riveste l’uomo con un tocco informale, offrendo a chi sceglie i suoi capi una sensazione di benessere e di un rapporto con il proprio corpo sciolto e disinibito, senza per questo corteggiare in segreto la trasandata moda hippie.
«Quando ho iniziato la mia rivoluzione, vedevo in giro uomini che indossavano giacche rigide che nascondevano il corpo, che sembravano quasi delle gabbie. Io cercavo l’esatto opposto: vestiti che consentissero facilità di movimento e che fossero confortevoli. È così che a metà degli anni Settanta ho creato la prima giacca destrutturata, eliminando fodera e imbottiture. Poco per volta, ho cambiato anche la disposizione dei bottoni e modificato le proporzioni: un processo che ha trasformato radicalmente questo capo di abbigliamento proprio mentre gli uomini esploravano modi più morbidi di essere maschili – chiosa lo stilista piacentino e precisa – È stato un momento di profondi cambiamenti, e io ne ho fatto parte. Oggi, si ha l’impressione che tutto sia già stato fatto e che non esista più l’idea originale o la silhouette originale. Io sono convinto del contrario: c’è ancora spazio per creare qualcosa di rilevante e di nuovo, ma farlo richiede essere focalizzati, e consapevoli che la moda è prima di tutto duro lavoro, non fama. La chiave è l’autenticità, ma sta diventando sempre più rara». Sempre nel 1976 Giorgio Armani elabora un percorso più o meno simile anche per ciò che concerne l’abbigliamento femminile, introducendo nuovi modi di intendere il tailleur, “demistificando” l’abito da sera e accostandolo a scarpe con il tacco basso o perfino a scarpe da ginnastica.
La sua notorietà si diffonde in Europa e grazie a un contratto con il Gruppo Finanziario Tessile, la “Giorgio Armani S.p.A.” comincia la sua espansione nelle principali capitali europee. La sua spiccata propensione nell’usare materiali in contesti inaspettati e in combinazioni insolite fanno sì che taluni intravedano in lui tutte le caratteristiche del genio. Se forse il temine può apparire esagerato, applicandolo ad uno stilista usando i parametri dell’arte, certo è che pochi creatori di abiti negli ultimi cinquant’anni sono stati importanti come Armani, che ha sicuramente sviluppato uno stile inconfondibile, raffinato ma nello stesso tempo perfettamente consono alla vita di tutti i giorni. Utilizzando le comuni filiere produttive per la realizzazione di abiti, mai affidandosi quindi ai grandi sarti, riesce a produrre capi molto sobri ma anche assai seducenti che, pur nella loro semplicità riescono comunque a conferire un’aura di autorevolezza a chi li indossa.
La carriera di Giorgio Armani è esemplare: per acume, coerenza che non nega la capacità di evolversi, abilità nel comunicare con il pubblico. Il titolo di “re del made in Italy”, tributatogli all’unanimità, Armani se lo è guadagnato per impegno e visione. Ha il dono della chiarezza che è prerogativa dei grandi e la rapidità esaltata da Italo Calvino nelle “Lezioni Americane”. Dici Armani, e ti viene in mente uno stile. Uno stile, si badi bene, non una formula. Fedele alla propria idea, Armani ha lasciato che lo stile crescesse organicamente e prendesse nuove vie in accordo con i tempi, senza integralismi. «Ho sempre creduto nella coerenza, più che nelle tendenze – puntualizza Giorgio Armani – osservo il mondo usando come filtro il mio sguardo. Credo nelle evoluzioni, non nelle rotture improvvise. In questo modo, riesco a interpretare quel che succede intorno a me, inglobando i mutamenti della società nel mio messaggio».
Diventato ormai un simbolo di eleganza e misura, numerose sono le star del cinema, della musica e delle arti che si vestono da lui. Sempre per rimanere nell’ambito dello spettacolo, Giorgio Armani ha anche creato costumi per il teatro, per l’opera e per il balletto. «I miei maestri sono stati i creatori dei vestiti del cinema americano degli anni Trenta, e Coco Chanel, poi Kenzo e Christian Bailly solo per citarne alcuni. Avevo in mente quell’aria elegante e un po’ sommessa degli anni Quaranta – afferma Giorgio Armani e continua – ho disegnato vestiti ispirandomi anche a Klimt, Kandinskij, Matisse e Van Gogh. Un’altra mia forma di ispirazione è la cultura orientale e araba».
L’esordio di Giorgio Armani nel mondo del cinema risale al 3 aprile 1978 quando l’attrice Diane Keaton sale i gradini del palcoscenico del L.A. Music Center per ritirare l’Oscar quale migliore attrice per “Io e Annie” di Woody Allen. Con il suo look – capelli raccolti con nonchalance, gonna longuette plissé soleil, blazer oversize – oltre a fissare per sempre l’essenza dell’elegante scompostezza anni Settanta, portò per la prima volta Giorgio Armani sul “red carpet”. «Quando seppi che aveva sfoggiato una mia giacca sul “red carpet” e aveva anche indossato nel film, una giacca di lino, una camicia bianca e un paio di pantaloni eleganti da me disegnati – confessa lo stilista piacentino – fui sorpreso ed emozionato. Erano trascorsi solo tre anni dal lancio del mio brand e questo mi diede la sensazione di essere sulla giusta strada con il mio lavoro, di fare qualcosa di rilevante. All’epoca non c’erano “stylist” al seguito delle star e il risultato, spesso, era più autentico. Lo stile di Diane nel film era un misto di maschile e femminile, molto morbido e personale. Indossare la mia giacca portò quello stile, inatteso, fuori dallo schermo». Da allora, il cinema non è più uscito dalla vita di Giorgio Armani.
Dopo il casuale esordio cinematografico con Diane Keaton, gli venne chiesto di offrire gli abiti della sua collezione per “American Gigolò” (1980), il film di Paul Schrader che ha segnato, a dire di Germano Celant, “la nascita del dandy di massa”. Oltre a far entrare nel mito un allora giovane Richard Gere, assurto a sex symbol degli anni Ottanta, questo film ha rappresentato la consacrazione internazionale di Armani. Lo stilista che, come ha scritto Judith Thurman sul New Yorker, “ha disarmato gli uomini e i loro indumenti senza evirarli e ha donato loro la libertà di essere guardati e desiderati dalle donne (e da altri uomini)”. Attraverso i magnifici completi, le camicie e le cravatte indossate dal protagonista, fascinoso gigolò per signore annoiate, Giorgio Armani ha rivoluzionato un caposaldo dell’eleganza conferendo una nuova dimensione all’estetica di quel decennio.
Da quel momento ha fornito i suoi abiti a più di 250 film, da “Gli Intoccabili” a “The Wolf of Wall Street”, e ha realizzato centinaia di abiti per i “red carpet”. Questi ultimi precisa Armani «sono diventati una vera e propria industria. La quantità di immagini che circolano durante i festival e le altre occasioni cinematografiche è enorme e questo ha una ricaduta molto importante sul nostro lavoro. Lo studio di quel che viene proposto è molto più accurato e questo significa trovare la giusta sintonia. Per quanto mi riguarda, conta ancora molto il rapporto di amicizia e stima, che conduce ai risultati più gratificanti». D’altronde, come aveva confessato a Martin Scorsese nel film documentario “Made in Milan”, «la vita è un film e i miei capi di abbigliamento sono i costumi».
Chi però pensa che i prodotti di moda e lifestyle (abiti, accessori, occhiali, orologi, gioielli, cosmetici, profumi, mobili, complementi di arredo, …) disegnati dallo stilista e distribuiti dal gruppo “Giorgio Armani S.p.A.” siano destinati solo ad una élite di facoltosi clienti si sbaglia. Negli anni Ottanta nascono delle linee destinate ai giovani, quali “Armani Jeans” e “Emporio Armani”. «Vedo la linea “Emporio Armani” come la controparte della linea “Armani Privé” – spiega lo stilista e prosegue – in mercati come quelli orientali, “Emporio Armani” ha addirittura fatto da ariete per la vasta penetrazione dell’“Armani Style”, spianando la strada al resto. Nel ricco portfolio dell’offerta Armani, “Emporio” è la collezione che, allontanandosi meno dal mio sentire, più si avvicina al ritmo della strada. Si basa su un’idea pragmatica quanto innovativa». Giorgio Armani, viaggiatore e osservatore, porta in Italia l’idea della moda democratica, forse ispirandosi a certe realtà americane, alle evoluzioni finali della radical fashion che sconvolsero, in bene, la cultura yankee. Crea un emporio per giovani, però lo fa da stilista, ed è qui il colpo di genio. Offre a chiunque un pezzo griffato Armani, a un prezzo accessibile.
Grazie a questa filosofia innovativa e creativa, il gruppo “Giorgio Armani S.p.A.” – i cui ricavi netti ammontavano a 2,35 miliardi di euro nel 2022 (dati riferiti all’ultimo bilancio consolidato) – dà lavoro a circa 8700 dipendenti, annovera 9 stabilimenti di produzione e un’esclusiva rete di distribuzione composta da innumerevoli boutique e punti vendita sparsi in tutto il mondo. Gruppo globale che però ha un unico re, Giorgio Armani appunto, che della holding detiene il 99,9% del capitale e può vantare un patrimonio personale da 11,3 miliardi di euro ed è nel 2024 il terzo uomo più ricco d’Italia, secondo la classifica stilata dalla rivista “Forbes”, subito dietro a Giovanni Ferrero e Andrea Pignataro. Risultati lusinghieri che Giorgio Armani così commenta: «Ho costruito il mio impero passo dopo passo, non di corsa, ed è per questo che è solido. Fin dall’inizio l’ho costruito basandomi anche sull’osservazione della realtà. Volevo vestire uomini e donne veri. Volevo vederli tutti per strada, non soltanto sulle pagine delle riviste o nel mondo illusorio della televisione; volevo che il mio abbigliamento desse loro una nuova consapevolezza del proprio valore; volevo che fosse adatto ai ruoli mutevoli di una società frenetica».
A chi gli chiede cosa sia per lui lo stile, l’eleganza, il glamour e come crea le sue collezioni, Giorgio Armani è solito rispondere: «Comincio dai “no” quando inizio a pensare ad una nuova collezione. É dalla somma di quei “no” che i miei abiti prendono una forma sempre più chiara e definita. Credo di avere talento nel togliere. Lo stile è invece una questione di eleganza, non solo di estetica. Lo stile è avere coraggio delle proprie scelte, e anche il coraggio di dire di “no”. É trovare la novità e l’invenzione senza ricorrere alla stravaganza. É gusto e cultura. Penso, e ne sono sempre stato convinto, che l’eleganza sia invece prima di tutto un modo di porgersi e di essere: discreto, mai urlato. I vestiti vengono dopo, e ne sono un’estensione. Il glamour invece è una qualità femminile che attrae, un’allure che rende speciali. È la seduzione, cui si associa per convenzione un’idea di stile appariscente. Nulla di più lontano dall’essenzialità delle mie creazioni. Glamour per me è suggerire, velare e rivelare, lasciando intuire senza mai esibire. E del glamour mi piace esplorare il potenziale e la ricchezza di sfumature, la seduzione preziosa e il mistero, le atmosfere dei film. Seguendo il mio istinto e decostruendo stereotipi e cliché, ho inventato un personale lessico del glamour, che unisce la mia visione e il mio rigore.
Nel creare gli abiti, ho sempre in mente non un corpo ma un atteggiamento. Io mi rivolgo all’uomo e alla donna moderni: persone che vivono pienamente la propria vita e apprezzano l’eleganza, quindi la mia estetica. Quello che voglio offrire ai miei clienti è un senso di sicurezza pacata. La persona per cui creo non è cambiata nel tempo, ma sicuramente si è evoluta, in sintonia con i tempi. Essendo un creativo, quello che mi piace di più del mio lavoro è sempre stato vedere i risultati della mia creatività. Il bisogno di creare è innato, credo. Lo seguo perché creazione, per me, significa produrre qualcosa che tocca la vita delle persone vere. Può essere una giacca, il servizio o l’arredamento impeccabile in un hotel. Può anche essere un buon cioccolatino. Quello che lega tutto insieme è il mio gusto, la mia ricerca costante di una semplicità sofisticata ma emozionante. Faccio questo lavoro per passione, una passione assoluta, bruciante, viscerale. Lo faccio con entusiasmo, impegno e dedizione.
Non ho mai pensato che avrei raggiunto una simile fama a livello mondiale facendo lo stilista. Naturalmente, non è la fama che mi ha spinto su questa difficile strada. Non è stato nemmeno il denaro che non può comprare l’eleganza. Realizzare cose belle: questo è ciò che mi ha sempre motivato. Lavorare mi mette di buon umore. Non è una coincidenza che il posto dove sto meglio sia il mio studio: è dove realizzo le mie visioni, dove quello che ho in testa diventa reale e tangibile. È una sensazione davvero incredibile; mi riempie ogni volta di energia e di adrenalina. Più lavoro, più mi sento ispirato. E il lavoro è anche un meraviglioso siero antietà».
Forse ha ragione Giorgio Armani: lavorare fa bene anche in età avanzata e lo si evince pure dalle buone condizioni di salute con cui ha tagliato il traguardo dei novant’anni. Non pago dei successi finora ottenuti lo stilista piacentino è ancora un “vulcano di idee” e ha in cantiere per il prossimo futuro nuovi progetti che spaziano dalla sua professione a altri ambiti, soprattutto a quello culturale.
La cultura ha sempre rivestito un ruolo importante nella vita di Giorgio Armani. Rammenta con commozione la cerimonia di consegna, svoltasi l’11 maggio 2023, della laurea honoris causa in “Global Business Management” conferitagli – per la dimensione internazionale del marchio, per l’approccio olistico alla sostenibilità, per la ricerca inesausta di miglioramento e per la consapevolezza della centralità dell’impresa nella creazione di valore condiviso – dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, la città che lo ha visto nascere e di cui conserva i ricordi d’infanzia come i «giri in bicicletta sul Trebbia, ma anche gli orrori della guerra».
Per lui è il quinto riconoscimento accademico della sua carriera ma ha un «valore doppiamente speciale perché premia il mio ruolo di imprenditore, l’impegno e la passione ma anche perché mi è stato conferito nella mia città natale, in un luogo magico che mi affascinava da bambino. Da Piacenza sono partito per Milano, ma le mie radici sono rimaste qui. Vorrei, con la mia storia, essere un esempio, uno stimolo e ricordare a tutti che il lavoro vero porta lontano. Io sono un creativo razionale, ma la spinta nasce sempre dalla passione, da un’intuizione e dal desiderio bruciante di realizzarla. Ogni mia idea, in fondo, è frutto di un innamoramento a questo lavoro, che per me è la vita, è un atto continuo di amore. Raccomando di coltivare l’amore per ciò che fate con rispetto di chi vi è vicino. Con l’amore si arriva lontano. Questa laurea mi ha obbligato a ricordare il percorso che ho fatto fin qui, molto gratificante e impegnativo, dimenticando però talvolta me stesso e i miei affetti».
Una panoramica di quasi cinquant’anni di carriera dello stilista piacentino – tra cui circa 200 abiti e 200 accessori dalle collezioni “prêt-à-porter” dal 1980 ad oggi – la si può ammirare all’“Armani/Silos” di Milano. Questo museo polivalente, progettato dall’architetto giapponese Tadao Ando con la consulenza di Giorgio Armani, è stato inaugurato nel 2015 a seguito dei lavori di riconversione di un granaio costruito nel 1950. Il museo si sviluppa su quattro livelli per una superficie di circa 4.500 metri quadrati. La ricerca di semplicità, l’eliminazione di tutto ciò che è superfluo, insieme alla preferenza per le forme geometriche regolari e un desiderio di uniformità, hanno prodotto un edificio sobrio ma monumentale basato sulla regola dell’ordine e del rigore. Una risposta razionale a esigenze pratiche dove gli spazi rispettano l’architettura originale e preservano l’insolita forma dell’edificio che richiama un alveare, metafora di operosità. La ristrutturazione dello spazio espositivo sottolinea la filosofia estetica e il dinamismo creativo di Giorgio Armani. Oltre alle aree espositive per mostre permanenti e temporanee, lo spazio comprende anche un “giftshop”, una caffetteria aperta sulla parte interna e un archivio digitale.
«Ho scelto di chiamarlo “Silos” perché lì venivano conservate le granaglie, materiale per vivere. E così, come il cibo, anche il vestire serve per vivere – puntualizza Giorgio Armani e prosegue – Allestire “Armani/Silos”, decidere che cosa esporre e con quali modalità, concentrarsi sui temi che meglio possono riassumere un pensiero e uno stile, mi ha aiutato a riflettere sul mio lavoro, con passione ma anche con equilibrio. Perché la moda, che sembra vivere in un eterno presente, ha necessità di riflettere su se stessa e sulle proprie radici proprio per proiettarsi nel futuro, accompagnando e spesso anticipando i grandi mutamenti sociali. Ricordarci come siamo stati ci aiuta a capire come potremo essere».
Il connubio fra moda e cultura perseguito da Giorgio Armani si esplica anche in molti altri modi. È stata “svelata” alcuni mesi fa in occasione della “Milano Design Week 2024” un’inedita collaborazione fra lo stilista piacentino e l’“Istituto Enciclopedia Italiana Treccani”. Un dialogo tra due istituzioni unite nella comune vocazione di creare bellezza e conoscenza, attraverso tessuti e abiti senza tempo che hanno fatto e scritto la storia della moda, e attraverso le pagine di opere editoriali straordinarie, frutto del contributo diretto dei massimi esponenti della cultura italiana e internazionale degli ultimi cento anni. Universi creativi in evoluzione continua, capaci di adattarsi ai tempi che cambiano e di innovarsi restando sempre fedeli a sé stessi. Grazie a questa sinergia la “Grande Enciclopedia Treccani” si presenta in una nuova edizione esclusiva, con un inedito abito su misura. Ognuno dei 58 volumi di cui è composta l’opera è rivestito da un motivo a basso rilievo di gusto orientale che si può cogliere a pieno solo ammirando l’enciclopedia nella sua interezza, custodita tra gli scaffali della libreria color greige e dettagli color champagne creata appositamente per ospitarne i volumi. Un’estetica delicata, colta ed elegante, moderna, in perfetto stile Giorgio Armani. L’enciclopedia più completa mai realizzata in Italia, che riunisce e integra magistralmente tra loro una grande molteplicità di saperi, oggi si veste della creatività d’eccellenza, sinonimo di stile e italianità, di Giorgio Armani.
Nonostante abbia compiuto da poco novant’anni, Giorgio Armani è sempre dinamico e proteso verso il futuro. «Mi piace fantasticare: guardare altrove, viaggiare con la mente è un modo intenso e appagante per reinventare ciò che creo qui, ora; è un modo di sognare, ma con i piedi a terra – afferma Giorgio Armani e aggiunge – perché è vero che prediligo il rigore, che ricerco le infinite declinazioni del maschile interpretato al femminile, ma amo anche lasciarmi andare. I due concetti non si escludono, anzi si compensano e completano. Perché, per me, anche il più alto volo di fantasia deve essere reale e tradursi in un capo, in un accessorio che una donna e un uomo avranno il desiderio di indossare o in un confortevole ambiente in cui vivere».
É forse per questo motivo – per esporre in un funzionale e raffinato edificio le sue ineguagliabili creazioni sartoriali e le sue innovative proposte per la casa e l’hôtellerie – che lo stilista piacentino ha deciso nel 2019 di ristrutturare il quartier generale della maison Armani a New York. A conclusione dei lavori, il prossimo 17 ottobre sarà inaugurato l’immobile riattato al numero 760 di Madison Avenue che includerà unità residenziali, l’Armani/Ristorante e le nuove boutique Giorgio Armani e Armani/Casa. A fare da cornice all’inaugurazione del prestigioso edificio sarà una sfilata evento – la “One Night Only 2024” – che proporrà a New York, in via del tutto eccezionale, la collezione “Giorgio Armani donna primavera/estate 2025”. Si tratta quindi di una scelta concreta e responsabile, in puro stile Armani, che permette di concentrare in un unico appuntamento i festeggiamenti sia per l’importante “opening” sia per il ritorno del brand, dopo undici anni, a New York; risale infatti al 2013 l’ultima “One Night Only” newyorkese dello stilista piacentino.
In attesa della trasferta americana Giorgio Armani chiosa: «Sono lieto di tornare a New York per celebrare questo progetto immobiliare molto importante. Il tempo che ho trascorso in questa metropoli è sempre stato proficuo e ha segnato momenti chiave della mia carriera. L’apertura dell’edificio ristrutturato in Madison Avenue è un rilevante traguardo personale perché cristallizza la mia visione di stile nella città che forse è stata la prima ad abbracciarla veramente».