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Gli artigiani della Cgia e il “Modello Veneto” per lo sviluppo del NordEst

La Cgia è nata nel 1945

Nordest – Più che una realtà associativa di 2.600 iscritti (“Eravamo in tremila, e da un po’ c’è una flessione, ma sono quelli che riescono a mantenere questo apparato”) e un sindacato di categoria, la Cgia è un centro di studi e ricerche di grande movimento e attivismo, che sforna dati su dati oltre ad essere anche un erogatore di servizi per le imprese associate.

«Direi che il saper interpretare i dati dà un grande potere di contrattazione, e a mio avviso è anche una delle espressioni migliori del lavoro sindacale» dice Giuseppe Bortolussi, segretario dell’associazione di Mestre. Classe 1948, formazione da avvocato, diritto e giurisprudenza fino alla tesi, Bortolussi ha però una passione per l’economia e le sue prospettive, i dati, i conti e una vera ossessione-avversione per il fisco e per quanto le imprese devono pagare allo Stato. Ma non è un evasore e non sostiene affatto le ragioni di chi rivendica il diritto all’evasione. Vuole pagare, ma il giusto.

O quel che serve per vedersi restituiti dallo Stato, in egual misura, servizi e vantaggi adeguati. Poi aggiunge: “Potremmo inscenare una manifestazione, fare degli scioperi, bloccare le strade, ma che senso avrebbe? Così non cambia nulla, vai invece lì con i dati e qualcosa poi vedi che succede…”.

La Cgia è nata nel 1945 e Bortolussi e al vertice dell’associazione da trentatré anni sui sessantotto di vita, quasi la metà. La prima volta che l’associazione ha fatto parlare di sé su un’agenzia di stampa è stato il primo luglio del 1993 con una iniziativa roboante: “La morsa fiscale in Italia è insostenibile per le piccole imprese?” si legge in un take dell’Agenzia Ansa delle 12.45 che riporta un comunicato dell’associazione, “E allora chiediamo la cittadinanza francese, visto che il Governo di quel paese concede sgravi alle imprese e non ulteriori tassazioni”.

I 2.600 associati comprendono, per il 70%, dipintori, edili, falegnami, impiantisti, elettricisti, manutentori per il comparto casa. E in quello auto, autofficine, carrozzerie, elettrauti, gommisti. Poi però ci sono anche lavoratori del cuoio e delle pelli, calzolai, lavoratori del vetro. Mentre il rimanente 30% degli associati vede parrucchieri, estetisti, ottici, odontotecnici, orologiai, tipografi, tassisti ecc.

Quando lo incontriamo, Bortolussi ha appena finito di tenere una lezione ai suoi ricercatori. “All’inizio eravamo un centinaio, adesso un’ottantina – spiega Bortolussi – con varie articolazioni, ma il gruppo forte è questo.

“Prima c’era l’azienda fordista verticalizzata che produceva tutto al suo interno perché riteneva più produttivo questo, come mai adesso fanno produrre invece alla Piccola impresa? Per beneficienza, per carità cristiana? Assolutamente, perché è più conveniente. Perché una piccola impresa è portatrice di alcuni valori come quelli della estrema specializzazione, per esempio”.

Cos’ha di buono o di migliore la piccola impresa? “Che si responsabilizza” risponde Bortolussi. “Perché se deve consegnare prende i soldi. Poi si auto-sfrutta e sfrutta tutta la famiglia, è luogo di coesione finalizzata ed è anche molto più produttiva. Questa specificità è il suo sviluppo, il nostro genius loci, quel che ci ha fatto quello che siamo, non ci hanno fatto le grandi imprese, non siamo una loro conseguenza. Sono aziende che operano in un Paese dove l’energia costa dal 40 al 60% in più che nel resto d’Europa, dove le tasse sono molto più alte che negli altri paesi, e le paghi, dove l’80% è congruo e le tasse le deve versare.

Tutto questo gran parlare di evasione, c’è per carità, ma bisogna anche sapere che un quinto degli inquilini oggi non ha neppure i soldi per pagare le spese condominiali, un quinto! Che se non sbaglio fa il 20%. Aziende che invece sottoposte agli studi di settore è congruo. Quindi, se si fanno i conti, queste aziende sono pure brave a pagare in anni di crisi così pesante e se condomini qualsiasi, di qualsiasi estrazione non ce la fanno a pagare.

Sono eroiche, sono eroi del quotidiano. Gente che riesce a produrre in queste condizioni quando uno come Marchionne dice: “Me ne vado via perché qui non riesco a produrre”. La piccola impresa lavora sul territorio, lavora con i consumi della gente, comprimono i consumi chi paga il conto? Paga la piccola impresa. Noi lavoriamo per dimostrare questo. È la nostra mission”.

Il segretario della Cgia di Mestre ci spiega che Triveneto più Emilia-Romagna “fanno il Nordest statistico”, cioè quello che l’anno scorso 2012 “ha fatto 40 miliardi e rotti di euro di saldo attivo della bilancia commerciale”. “Bene – dice – ora questo saldo attivo è stato il frutto della diminuzione delle importazioni, ma è esattamente anche quello che è avvenuto in Germania quando nel 2007 hanno aumentato di tre punti l’Iva, cioè hanno compresso i consumi e aumentato l’export. Bene, però questo Nordest ha fatto 40 miliardi di saldo attivo.

È chiaro che se io vado in cerca dell’area più produttiva della Germania, quella ha esportato di più, ma se io confronto questa parte del Paese con la Germania, con la Cina e con il Giappone, siamo più bravi noi! Ecco perché dobbiamo migliorare la struttura complessiva del Paese, perché non competiamo solo con il nostro mercato interno, ma con quello straniero e vinciamo. E attenzione, con un euro che è sopravvalutato a 130 circa sul dollaro, che viene tenuto artificiosamente basso, mentre sono in corso guerre valutarie, il franco svizzero è basso, lo yen pure e solo noi abbiamo sopravvalutato e i nostri, in queste condizioni, riescono pure a fare 40 miliardi di saldo attivo. E ne mancano pure all’appello”.

Il famoso “modello Veneto” tiene ancora o si è trasformato? “Vorrei portarla in certi luoghi – racconta – e farle vedere com’è cambiato. Vorrei portarla a Torre del Mosto, vicino a Jesolo, tremila anime, nemmeno, la zona industriale a vederla sembra di essere in America. Al posto della vecchia falegnameria c’è adesso un capannone da 5 mila metri quadri, poi c’è quello che fa tutto il lavoro in plastica per l’Ikea, quell’altro. Allora quei 40 miliardi e passa di attivo non vengono dal nulla. Vengono anche o soprattutto da lì. Diciamo che c’è molto interesse a dire che non funziona, però funziona. Anche se è difficile spiegare perché. Più difficile di quanto può sembrare.

È come l’antimateria, spiega la materia. La differenza sta nel produrre cose di valore. E se noi facciamo funzionare meglio il sistema della piccola impresa, quel che finora ha procurato il benessere e tenuto insieme il Paese, continuerà a procurarlo sempre di più”. Parola di Bortolussi.

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