Ricorre quest’anno il quinto anniversario della scomparsa dell’eclettico ambasciatore e uomo di cultura italiano, Luigi Vittorio Ferraris, convinto fautore che l’Italia non potesse sopravvivere senza o contro l’Europa nel mondo sempre più globalizzato del XXI secolo, e che non fosse possibile un’efficace e forte politica estera italiana senza una stretta collaborazione con gli altri Stati Europei, in primis Germania e Francia
di GianAngelo Pistoia
NordEst – Risale al lontano 1987 la mia prima esclusiva ed ebbe quale protagonista Oriana Fallaci. Fu realizzata a Colonia in Germania presso l’“Historisches Rathaus” e l’Istituto Italiano di Cultura della città renana in occasione della presentazione alla stampa della versione tedesca del libro “Un uomo” dell’intellettuale fiorentina. Questo evento culturale era stato organizzato dal Comune di Colonia d’intesa con l’Ambasciata d’Italia nella Germania Ovest. Ad accogliere gli invitati, provenienti anche dall’estero, furono quindi Norbert Burger “bürgermeister” di Colonia e Luigi Vittorio Ferraris ambasciatore d’Italia nella Repubblica Federale di Germania.
Luigi Vittorio Ferraris è stato un abile diplomatico ed anche un raffinato intellettuale che ha contribuito a promuovere la cultura italiana in Europa e nel Mondo. Era amico personale di Oriana Fallaci e di molti altri intellettuali italiani. Ed è di Luigi Vittorio Ferraris che desidero parlare in questo articolo poiché ricorre quest’anno il quinto anniversario della sua morte. Per farlo mi avvalgo, per ampli stralci, di un esaustivo articolo di Luciano Monzali dal titolo “Penna e feluca. Luigi Vittorio Ferraris storico, diplomatico, europeista” pubblicato il 27 novembre 2018 sul blog del Corriere della Sera “La nostra storia” diretto da Dino Messina.
Scriveva Luciano Monzali nel suo articolo: «Con la scomparsa di Luigi Vittorio Ferraris, avvenuta il 13 novembre 2018, l’Italia ha perso una personalità che con la sua energia, intelligenza e inesauribile attività ha segnato in maniera significativa la vita politica e culturale del nostro Paese negli ultimi settant’anni.
Per capire alcuni aspetti della sua personalità ci sembra importante ricordare le sue origini familiari.
I Ferraris erano una famiglia piemontese borghese originaria della provincia di Novara che si era trapiantata a Torino nell’Ottocento. Figura di spicco della famiglia, e importante personalità della storia di Torino, fu l’avvocato Luigi Ferraris, nato a Sostegno nel 1813, che fu fra gli animatori del movimento liberale costituzionale torinese, divenendo deputato nel primo Parlamento subalpino nel 1848. Nei decenni successivi Luigi Ferraris si affermò come uno dei principali avvocati torinesi continuando contemporaneamente a svolgere attività politica. Ciò lo portò a essere sindaco di Torino, deputato alla Camera del Regno d’Italia, ministro dell’interno nel 1869 e di grazia e giustizia e dei culti nel 1891. Per i suoi meriti verso la Corona e i Savoia fu nominato senatore nel 1871 e gli fu concesso il titolo di conte, trasmissibile agli eredi, nel 1882.
Cresciuto in un tale contesto familiare non sorprende che per Luigi Vittorio, dopo la laurea in Giurisprudenza a Roma nel 1949, la scelta di entrare nella carriera diplomatica fosse quasi una decisione dovuta. Dopo aver svolto un corso presso l’Accademia di diritto internazionale all’Aja, Luigi Vittorio superò il concorso per entrare a far parte del Ministero degli Affari Esteri nel 1952. La carriera diplomatica permise a Ferraris di esprimere pienamente i suoi vari talenti di alto funzionario, di uomo interessato ai processi politici e alla realtà internazionale, di persona colta e intellettuale con un grande amore per lo studio e la scrittura.
Dopo alcuni anni di formazione al Ministero degli Affari Esteri, a partire dal 1955 Ferraris passò quasi quindici anni in missioni all’estero: fu Vice Console a Newark, New Jersey (Stati Uniti) dal 1955 al 1957; Secondo Segretario presso l’Ambasciata in Ankara dal 1957 al 1959; Primo Segretario presso la Legazione a Sofia in Bulgaria dal 1959 al 1962; Consigliere e poi primo Consigliere presso l’Ambasciata in Caracas, Venezuela, dal 1963 al 1967; infine Primo Consigliere presso l’Ambasciata italiana in Varsavia dal 1967 al 1969.
Nel corso di questi anni in giro per il mondo, accompagnato dalla moglie Giovanna e dai due figli nel frattempo nati, Luigi Vittorio ebbe la fortuna di lavorare con alcuni diplomatici di grande talento e capacità, che lo influenzarono profondamente nella sua formazione: Luca Pietromarchi ad Ankara, Enrico Aillaud a Varsavia e soprattutto Roberto Gaja a Sofia. Da diplomatici come Pietromarchi e Gaja, così come successivamente dal suo capo alla Direzione degli Affari Politici, Roberto Ducci, Ferraris trasse un modello ben preciso su come essere e fare il diplomatico: il rifiuto di una concezione riduttiva dell’azione diplomatica come pura attività di relazioni mondane e semplice pratica burocratica; l’idea che il diplomatico appartenesse alla classe dirigente del Paese e che come tale dovesse partecipare attivamente anche alla vita politica, culturale e sociale italiana; la visione del diplomatico come colui che interpretava e analizzava la realtà internazionale proponendo alla classe politica strategie e visioni relative al ruolo dell’Italia nel mondo; la consapevolezza dell’importanza della cultura nella politica estera di una media Potenza come l’Italia.
Una caratteristica di Ferraris fu l’amore per lo studio, la lettura e la scrittura. Del suo talento come scrittore, storico e giurista diede una prima prova pubblicando un volume sulla storia dell’amministrazione del Ministero degli Affari Esteri italiano nel 1955, che è rimasto ancor oggi un testo di riferimento sull’argomento. A partire dagli anni Sessanta, probabilmente stimolato dall’esempio di Pietromarchi, Gaja, Ducci, Ferraris, usando vari pseudonimi, fra i quali ricordiamo il frequente Luigi Valsalice (Valsalice è una zona di Torino dove la sua famiglia possedeva una villa), iniziò a scrivere e pubblicare intensamente saggi e volumi, dimostrando un non comune talento di scrittore e analista politico e internazionale, specializzato in particolare sui problemi del mondo tedesco e dell’Europa centro-orientale. Testimonianza della sua versatilità dei suoi interessi culturali e del suo talento intellettuale fu il libro che Ferraris scrisse sul Venezuela, “Guerriglia e politica. L’esempio del Venezuela (1962-1969)” (Valmartina, 1973), forse la sua opera scritta più stimolante e riuscita. In questo volume compì un’analisi approfondita dei problemi politici e sociali dello Stato latino-americano nel quale aveva soggiornato nel corso degli anni Sessanta.
Nel 1969 con il rafforzarsi del peso e dell’influenza di Gaja al Ministero degli Affari Esteri, che da direttore degli affari politici diventò segretario generale per scelta di Moro nel 1970, Ferraris venne chiamato a Roma a lavorare alla Farnesina. Iniziò un lungo periodo di attività del diplomatico romano presso le strutture centrali del Ministero degli Affari Esteri, che sarebbe durato fino al gennaio 1980, quando Ferraris divenne ambasciatore italiano presso la Repubblica Federale di Germania. Fino al 1975 Ferraris lavorò alla Direzione generale degli Affari Politici come Capo Ufficio VI (Europa orientale) e Capo ufficio III della Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa (CSCE), occupandosi di Unione Sovietica, questione tedesca e Stati dell’Europa orientale. In questi anni si creò uno stretto rapporto di collaborazione e amicizia fra Ferraris e il suo capo Roberto Ducci, un diplomatico intellettuale e scrittore come lui, che Luigi Vittorio ammirava fortemente per la forte personalità e l’energia individuale.
Ferraris divenne uno dei grandi esperti italiani dell’Europa orientale e del blocco sovietico, riconosciuto come una delle intelligenze più brillanti della Farnesina. Esperienza molto importante per Ferraris fu la partecipazione ai lunghi negoziati della CSCE come Vice capo della delegazione italiana. Insieme a molti diplomatici europei occidentali, Ferraris s’impegnò per usare la Conferenza al fine di allargare e potenziare le libertà individuali in Europa orientale obbligando i sovietici a fare concessioni al riguardo in cambio del riconoscimento occidentale dello status quo politico-territoriale del continente europeo. Prova del suo impegno nella CSCE è il volume che egli pubblicò nel 1977, “Testimonianze di un negoziato: Helsinki, Ginevra, Helsinki 1972-1975” (Cedam, 1977), che rimane un libro importante per chi è interessato a ricostruire le vicende negoziali della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e che non a caso fu tradotto all’estero.
La sostituzione di Gaja e Ducci ai vertici del Ministero degli Affari Esteri nel 1975 non danneggiò la carriera di Ferraris. I successori di Gaja alla segreteria generale, Raimondo Manzini e Francesco Malfatti di Montetretto, avevano stima delle qualità professionali di Luigi Vittorio e lo nominarono Vice-Direttore Generale delle Relazioni Culturali nel 1975 e poi Direttore Generale del Personale nel 1977, incarico questo di grande peso e potere alla Farnesina, che Ferraris svolse con determinazione e anche necessaria determinazione fino al 1979. Proprio alla fine di quell’anno – quando, dopo anni di difficoltà nelle relazioni fra Italia e Germania Federale, provocate dall’ostilità dei partiti e dell’esecutivo tedesco verso la politica morotea della solidarietà nazionale e l’inclusione dei comunisti nell’area governativa, il governo di Roma cercava di rilanciare i rapporti con Bonn – la Farnesina decise d’inviare a Bonn Luigi Vittorio Ferraris come ambasciatore.
Ferraris era un buon conoscitore della lingua e della cultura tedesca e un convinto sostenitore della necessità per l’Italia di avere uno stretto rapporto di cooperazione e amicizia con la Germania Federale. Apprezzato dalla diplomazia e dall’establishment tedeschi, convinto europeista e atlantista, Ferraris sarebbe rimasto a Bonn fino al settembre 1987, divenendo un protagonista dei rapporti fra i due Paesi. Nonostante tensioni episodiche nelle relazioni bilaterali provocate dalla freddezza di una parte della classe dirigente italiana verso l’ipotesi della riunificazione tedesca (sintomatico fu l’incidente diplomatico provocato dalle dichiarazioni di Andreotti a favore dell’esistenza di due Stati separati tedeschi nel 1984) e dall’eccessiva attenzione e disponibilità che il governo e i partiti italiani concedevano all’attivismo politico e culturale della Repubblica Democratica Tedesca nella Penisola, negli anni dell’ambasciata di Ferraris la cooperazione politica e diplomatica tra i due Paesi raggiunse un’intensità rare nella seconda metà del Novecento.
Questa intensa cooperazione fu testimoniata dall’impegno dei due governi a rilanciare il processo d’integrazione europea con la dichiarazione Colombo-Genscher del novembre 1981, punto di partenza di un processo diplomatico e politico che avrebbe portato all’Atto Unico del 1986. Vi fu poi una frequente collaborazione italo-tedesca nell’ambito dell’alleanza atlantica, sia nella controversia sullo stanziamento degli euromissili che nella ricerca di posizioni comuni nei negoziati sul disarmo. Il continuo sforzo di Ferraris fu di spiegare al meglio ai governanti italiani le esigenze politiche e i punti di vista tedeschi sui principali problemi di politica internazionale.
Forte fu anche il suo impegno di intensificare le relazioni culturali bilaterali, nella convinzione che i due Paesi si dovessero conoscere meglio, condizione fondamentale per superare le tante diffidenze reciproche esistenti fra i due popoli e le rispettive classi dirigenti. Ferraris si sforzò di dialogare con il mondo imprenditoriale e intellettuale tedesco, ma rivolse anche grande attenzione alle comunità degli emigrati italiani in Germania occidentale, ritenendo giustamente che potessero svolgere un ruolo importante e positivo nel riavvicinare le due Nazioni.
L’Ambasciata in Germania Federale fu sicuramente l’apice della carriera diplomatica di Ferraris. Egli dimostrò grande capacità di svolgere il ruolo di ambasciatore in maniera moderna ed eclettica, sapendosi ritagliare un ruolo importante di connettore fra le classi dirigenti dei due Paesi e di propositore di strategie e linee d’azione. Egli era un ambasciatore estremamente attivo e molto esigente riguardo alla disciplina e ai doveri dei funzionari, ma anche una personalità atipica nell’ambiente diplomatico italiano per l’apertura e curiosità verso il mondo extra-diplomatico e per la versatilità dei suoi talenti.
Nel settembre 1987, non ancora sessantenne, Luigi Vittorio Ferraris decise improvvisamente di dare le dimissioni dalla carriera diplomatica vari anni in anticipo dalla pensione. Non per dissidi fra lui e i vertici della Farnesina: il Ministero degli Affari Esteri gli propose di assumere l’Ambasciata italiana a Mosca, ma ne fu dissuaso dalla riluttanza della consorte. Ritenne piuttosto giunto il momento di dedicarsi a tempo pieno all’altra sua vocazione, quella di studioso e docente. Fu nominato consigliere di Stato, carica che conservò fino al 2000, e assunse incarichi di docenza in varie università italiane.
In realtà Ferraris continuò per vari anni a svolgere un ruolo nella politica estera italiana. Rimase e divenne sempre più un influente commentatore e analista politico su varie riviste italiane come “Affari Esteri”, “Politica Internazionale” e “Limes”, nonché a livello europeo e internazionale. Fu anche direttore di un’importate collana di studi di storia politica internazionale (“Studi internazionali”), presso Rubbettino che è destinata a sopravvivere alla sua scomparsa, grazie alle cure Luca Riccardi, Eugenio Di Rienzo e di chi scrive. Indimenticabile è stata poi la sua instancabile attività di animatore di convegni e incontri di studi sempre aperti alle più giovani leve. Ricevette vari incarichi speciali dal Ministero degli Affari Esteri italiano, fra i quali ricordiamo solo le sue missioni in Albania e Bosnia nel 1996 e la nomina a Capo delegazione italiana nel quadro delle riunioni OSCE a Varsavia, Berlino, Bruxelles, Parigi fra il 2003 e 2004. Il prestigio personale di cui godeva gli fruttò la nomina a Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri nel governo presieduto da Lamberto Dini dal febbraio al maggio 1996.
Nell’ultima parte della sua vita fu, come si diceva, intenso e forte il suo impegno in campo culturale come docente e organizzatore culturale. Prodotto della sua attività come docente universitario è il volume “Manuale della politica estera italiana 1947-1993”, (Laterza, 1996) scritto in collaborazione con alcuni suoi studenti. Questo libro, una dettagliata e precisa ricostruzione dei momenti fondamentali della storia della politica estera italiana postbellica, fino alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, rimane uno strumento utile e prezioso per lo studioso dell’azione internazionale dell’Italia. Ovviamente il punto di forza volume è nel fatto che Ferraris fu anche protagonista in prima persona della politica estera italiana; quindi il testo offre una ricostruzione storica dalla prospettiva di un partecipante diretto all’azione diplomatica dell’Italia: da qui una ricchezza informativa assente in altre storie della politica estera italiana.
A partire dalla fine degli anni Ottanta forte e intenso fu l’impegno di Ferraris nel contribuire a tenere vive le relazioni culturali italo-tedesche. Ciò fece di lui uno dei maggiori esperti italiani sul mondo tedesco. Da qui la sua intensa attività di conferenziere, di scrittore e analista dei rapporti italo-tedeschi, di organizzatore di convegni, stimolatore di ricerche, nonché condirettore, insieme a Günter Trautmann e Hartmut Ullrich, di una collana editoriale presso la Peter Lang intitolata “Italien in Geschichte und Gegenwart” dedicata ai rapporti fra Italia e Germania.
Questo attivismo derivava dalla sua convinzione della centralità per l’Italia di un rapporto forte e intenso con la Germania, che riunificata aveva conquistato un ruolo dominante non solo sul piano economico, ma anche su quello politico e diplomatico nel continente europeo. L’Italia, secondo Ferraris, aveva bisogno di un forte ancoraggio all’Europa settentrionale per soddisfare le sue esigenze economiche e sociali, per ovviare alla fragilità della sua posizione geopolitica e per la sua stabilizzazione politica interna.
In Ferraris vi era anche grande attenzione verso gli studi italiani riguardo ai Paesi balcanici e dell’Europa orientale. I soggiorni come diplomatico in Bulgaria e Polonia lo avevano convinto dell’importanza per la politica estera italiana del rapporto con i popoli dell’Europa centrale e orientale e della necessità di una loro migliore conoscenza da parte degli italiani. Oltre ai suoi numerosi scritti su queste tematiche, testimonianza di questo suo impegno a favore dell’intensificazione della conoscenza italiana di quella parte del continente europeo fu la lunga e attiva presidenza di Ferraris dell’Associazione Italiana Studi di Storia dell’Europa Centrale e Orientale (AISSECO), entità associativa sorta nel 2005 che raggruppa i principali studiosi italiani di storia dell’Europa centro-orientale.
Gli ultimi anni della vita di Ferraris furono segnati da una crescente amarezza e tristezza per la crisi politica e culturale dell’Italia contemporanea. Egli constatava sconsolato il declino del livello culturale della classe dirigente italiana nelle sue varie componenti (politici, intellettuali, giornalisti, funzionari dello Stato, imprenditori, …), sempre meno selezionata su criteri meritocratici e di capacità, e il crescente degrado della vita sociale, politica e culturale del nostro Paese. Era fortemente critico verso la tendenza della nostra società a rinchiudersi in illusori isolazionismi e verso il crescente rifiuto del processo di integrazione europea, per il cui sviluppo lui e tanti diplomatici italiani si erano fortemente impegnati per decenni.
Egli era convinto che lo Stato nazionale italiano non potesse sopravvivere senza o contro l’Europa nel mondo sempre più globalizzato del XXI secolo, e che non fosse possibile un’efficace e forte politica estera italiana senza una stretta collaborazione con gli altri Stati europei, in primis Germania e Francia. Ma fino all’ultimo momento della sua lunga e intensa vita, Ferraris ha avuto fiducia nei valori e nei talenti degli italiani e speranza in una reazione e in una rinascita della Nazione italiana» così Luciano Monzali concludeva il suo interessante articolo pubblicato sul blog del Corriere della Sera “La nostra storia” diretto a Dino Messina.