Le omelie dei vescovi di Trentino Alto Adige e Veneto nel giorno pasquale
NordEst – “Un’esistenza che, spesso, appare più come un sepolcro, piuttosto che l’habitat della vita. Da qui deriva anche quel vero mobbing sociale che giudica e incasella, emettendo su tutto e su tutti sentenze senza appello”. Così l’arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, nell’omelia della domenica di Pasqua nella cattedrale.
“Fanno impressione – ha proseguito l’arcivescovo – i dati sulle varie dipendenze, da cui nessuna età è esclusa”. A Pasqua la Chiesa celebra il Risorto che per l’Arcivescovo abita “nel quotidiano delle persone”. “Risurrezione – spiega – è l’onestà personale che ci invita a essere irreprensibili e sobri.
Omelia Tisi Domenica Pasqua 01042018 (pdf)
Risurrezione è il tesoro prezioso di relazioni sociali costruite sull’ospitalità, la non violenza, la generosità, la sincerità. Risurrezione è spendersi per una comunità.”
E conclude: “La Risurrezione non è solo la rivitalizzazione di un corpo morto, ma è la messa a nostra disposizione della vita di Dio che noi possiamo toccare e incontrare nella persona di Gesù”.
L’omelia del Patriarca Moraglia: “Per un mondo costruito sul perdono, sull’ascolto, sulla misericordia”
L’annuncio della risurrezione di Gesù – “Cristo, mia speranza, è risorto!” – “contiene una gioia incontenibile che giunge a tutti e che nessuno esclude, in modo particolare chi è stato segnato dalle ferite, dalle sofferenze e dalle ingiustizie della vita; è la buona notizia che può cambiare il nostro mondo che è sempre più vecchio, non solo anagraficamente.
Un mondo segnato da crescenti conflittualità e che – come ha detto il Santo Padre – rischia, senza accorgersene, di trovarsi dentro una guerra che si combatte a pezzi”. Lo ha detto il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia nel corso del solenne Pontificale di Pasqua celebrato la mattina di domenica 1 aprile nella basilica cattedrale di S. Marco.
“E noi, proprio oggi, giorno di Pasqua – ha continuato così l’omelia (testo integrale in calce) -, vogliamo chiederci: dove inizia questa guerra che, continuamente, ritorna a divorare l’umanità? Fintanto che ci limiteremo a puntare il dito contro gli altri o a incolpare le istituzioni – dimenticando che sono gli uomini a produrle – non potremo che limitarci a constatare la nostra impotenza a liberarci dal male.
È il peccato che ci pone contro Dio, ma non di meno contro noi stessi e gli altri, perché è il peccato la radice di ogni divisione; anzi è la stessa divisione. Esso consiste nel tracciare un percorso fuori del progetto di Dio. Abbiamo, così, un’umanità impotente che – sempre e di nuovo – è incapace di sollevarsi e ricomporsi nella giustizia che è presupposto e condizione della pace. Dio, in suo Figlio, ci indica l’unica via, l’unica verità e l’unica vita che ci danno la pace”.
Per mons. Moraglia “a Pasqua si frantuma – con la pietra del sepolcro – si è chiamati a prender commiato da un modo vecchio di stare nella storia. Il Risorto, infatti, annuncia un mondo che si costruisce sul perdono, sull’ascolto dell’altro e sulle opere di misericordia spirituali e materiali. L’intento è semplice: vivere l’imitatio Christi, vivere la croce che è la forma piena dell’amore che si apre a tutti, nessuno esclude e tutti accoglie sull’esempio di Gesù.
La croce è il perdono di Dio agli uomini, un perdono dato anche a coloro che sembrano rifiutarlo; così la Pasqua inaugura e immette nuove possibilità nella storia e si propone come germe di novità, di riconciliazione e apertura di credito per un’umanità che vuole – ma da sola non può – uscire dalla logica vecchia, ripetitiva e inconcludente del peccato.
La risurrezione è l’evento che cambierà totalmente la vita di quegli uomini e donne che avevano incontrato Gesù. La Pasqua è data ai discepoli che sempre e di nuovo devono essere – in ogni epoca, anche oggi – soggetti in cui si vive, testimonia e annuncia la risurrezione come inizio di nuove relazioni fra gli uomini”.
A partire dal racconto dei Vangeli della risurrezione, il Patriarca ha poi riservato un pensiero speciale alle donne: “In un tempo in cui le donne sono oggetto di sistematica violenza, desidero perciò sottolineare il modo con cui esse hanno saputo accompagnare e stare vicine a Gesù, più e meglio degli uomini, soprattutto nel momento in cui anche gli amici più intimi – discepoli e apostoli – lo abbandonarono.
Gli apostoli scelsero la strada facile della debolezza: la fuga. Le donne no, rimasero fedeli fino alla fine e così le troviamo ai piedi della croce con la Vergine Madre. Loro, le donne, non gli uomini, furono coraggiose nel rimanergli al fianco, non lo lasciarono lungo il cammino arduo della passione e, numerose, lo seguirono fino alla croce. Non stupisce, allora, che Gesù le volle prime testimoni della Pasqua, “apostole” degli apostoli.
La vicenda più intima di Cristo – la sua morte e risurrezione – mette in evidenza, senza forzatura alcuna, la grandezza della donna. La nostra società, la nostra cultura e anche la nostra Chiesa devono lasciarsi plasmare di più dal genio femminile per scoprirsi più ricche di vera umanità e del senso di Dio”.