In 562 mila da almeno 40 anni, le donne in maggioranza
NordEst – Molti esperti sostengono che le pensioni baby costano allo Stato circa 7 miliardi di euro all anno (0,4% Pil nazionale), lo stesso importo previsto quest’anno per il reddito/pensione di cittadinanza e superiore di quasi 2 mld della spesa 2020 per pagare gli assegni pensionistici per quota 100. Lo rileva la Cgia che ha confrontato i dati Inps dei pensionati baby con la dimensione economica del reddito di cittadinanza e di quota 100.
“Sono quasi 562 mila – rileva Paolo Zabeo – le persone in pensione da almeno 40 anni: oltre 386 mila sono in massima parte invalidi o ex dipendenti delle grandi aziende. Se i primi hanno beneficiato di una legislazione che definiva i requisiti in misura molto permissiva, i secondi, a seguito della ristrutturazione industriale, hanno usufruito di trattamenti in uscita dal mercato del lavoro molto generosi. Poi ci sono altri 104 mila ex lavoratori autonomi, oltre la metà dell’agricoltura, e solo una piccola parte, meno di 60 mila, il 10,6%, di ex dipendenti pubblici”.
Tra i pensionati baby sono questi ultimi ad aver smesso di lavorare in età più giovane (41,9 anni), mentre nella gestione privata l’età media è scattata dopo (42,7 anni). In entrambi i casi, l’abbandono definitivo del posto di lavoro è avvenuto con 20 anni di età in meno rispetto a chi, oggi, usufruisce di quota 100. Attualmente, le persone che sono andate in quiescenza prima del 31 dicembre 1980 hanno un’età media di 87,6 anni. E le donne sono in netta maggioranza: 446 mila (79,4%) contro 115.840 uomini (20,6%) che hanno comunque lasciato prima il lavoro con una media di 40,6 anni, contro i 43,2 anni delle femmine.