Con l’abolizione della tariffa minima saranno “avvantaggiati” i trasportatori dell’Est che già oggi praticano una concorrenza sleale inaccettabile
NordEst – Dall’inizio della crisi in Italia hanno chiuso oltre 18.500 imprese: Friuli V.G., Toscana e Piemonte le regioni più colpite.
Dopo la bocciatura da parte della Corte di Giustizia Europea della tariffa minima applicata in Italia per il trasporto merci su strada che, ricorda la CGIA, era periodicamente aggiornata dal ministero dei Trasporti sulla base dei costi di esercizio relativi alle aziende di autotrasporto, i nostri padroncini sono a rischio estinzione.
La denuncia viene dalla CGIA che sottolinea: su poco più di 90.200 imprese attive sul territorio nazionale, il 68 per cento circa è costituito da aziende artigiane. Con l’abolizione della tariffa minima, il potere contrattuale di queste piccole attività rischia di azzerarsi, con il pericolo che molte di queste non saranno in grado di coprire i costi aziendali con tariffe chilometriche che, ovviamente, subiranno una caduta verticale, favorendo, così, i vettori dell’Est Europa che già oggi viaggiano con tariffe stracciate, spesso in palese violazione delle norme di settore e nel mancato rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza previste dal codice della strada.
Lo stato di agonia del settore dell’autotrasporto italiano viene illustrato dal segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi:
“Abbiamo i costi di esercizio più alti d’Europa per colpa di un deficit infrastrutturale spaventoso. Senza contare che il settore è costretto a sostenere delle spese vertiginose per la copertura assicurativa degli automezzi, per l’acquisto del gasolio e per i pedaggi autostradali. Il tutto si traduce in un dumping sempre più pericoloso, soprattutto per le aziende ubicate nelle aree di confine che sono sottoposte alla concorrenza proveniente dai vettori dell’Est Europa. Questi ultimi hanno imposto una guerra dei prezzi che sta strangolando molti piccoli padroncini.
Pur di lavorare – conclude Bortolussi – oggi si viaggia anche a 1,10-1,20 euro al chilometro, mentre i trasportatori dell’Est, spesso in violazione delle norme sui tempi di guida e del rispetto delle disposizioni in materia di cabotaggio stradale, possono permettersi tariffe attorno agli 80-90 centesimi al chilometro. Con queste differenze non c’è partita. Ora che le tariffe minime non potranno essere più utilizzate, la situazione rischia di peggiorare ulteriormente”.
Le ragioni della crisi in cui versa l’autotrasporto sono molteplici. Secondo uno studio presentato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel 2011, l’Italia presenta il costo di esercizio per chilometro più alto d’Europa: se da noi è pari a 1,542 euro, in Austria è di 1,466 euro, in Germania 1,346 euro, in Francia 1,321 euro. Ma in Slovenia è di 1,232 euro, in Ungheria di 1,089 euro, in Polonia di 1,054 euro e in Romania è addirittura di 0,887 euro.
I numeri del settore
Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi della CGIA, tra il primo trimestre 2009 e il secondo trimestre 2014 hanno chiuso oltre 18.500 imprese (-17%) del settore dell’autotrasporto merci su strada.
Attualmente sono attive poco più di 90.200 aziende. Di queste, il 68 per cento circa è costituito da imprese artigiane. Alle 90.200 realtà presenti sul nostro territorio nazionale vanno aggiunte almeno altre 40.000 attività prive di automezzi che svolgono quasi esclusivamente un’attività di intermediazione.
Il 90% circa delle merci italiane viaggia su gomma.
Per quanto concerne l’occupazione non ci sono dati statistici puntuali che ci consentono di definire quanti sono gli addetti presenti nel settore: tenendo conto che nell’ultimo Censimento Istat sulle Imprese e i Servizi il numero medio di addetti per impresa del trasporto merci su strada è di 4,3 addetti (anno 2011), stimiamo, a grandi linee, che in Italia siano occupati tra le 350 e le 400.000 persone. Dall’inizio della crisi hanno perso il posto di lavoro quasi 70.000 addetti.
A livello territoriale la Regione che ha subito la contrazione più forte è stata il Friuli Venezia Giulia. Dal primo trimestre 2009 al secondo trimestre del 2014 il numero delle imprese è diminuito del 23,2%. Altrettanto preoccupante è la situazione venutasi a creare in Toscana (-21,6%), e in Piemonte (- 20,2%).