Trento – A 1500 metri di altitudine, nel territorio comunale di Denno, in valle di Non, in mezzo ad una vasta distesa boschiva racchiusa tra le pendici del Monte Corno a nord e del Monte Alto a sud, sul versante orientale del Gruppo di Brenta: è qui che si trova Malga Arza, dove si sono dati appuntamento per celebrare il loro patrono, San Giovanni Gualberto, i forestali trentini.
Era infatti il 12 luglio 1951 quando papa Pio XII dichiarava San Gualberto patrono dei Forestali d’Italia. Da allora, tutti gli anni, questa giornata è diventata un po’ il simbolo del forte legame che il Trentino vanta tra le sue genti e la montagna, tra un territorio difficile e che ha bisogno di continue cure e attenzioni e il “sapere” che negli anni qui si è sviluppato relativamente alle strategie colturali e culturali attinenti la gestione del bosco, che in Trentino copre il 62 per cento della sua superficie.
E il “regno” dei Forestali (235 quelli che fanno attualmente parte del Corpo provinciale, articolati in 9 uffici distrettuali e 37 stazioni forestali, facenti capo alla Provincia, a cui si aggiungono i dipendenti nei diversi settori dell’amministrazione. La cerimonia di oggi si è aperta come di consueto con la messa, officiata da don Alessio Pellegrin, parroco di Denno, a seguire i saluti del sindaco di Denno Fabrizio Inama, del presidente della Comunità della Val di Non Silvano Dominici e dell’assessore all’agricoltura, foreste, turismo e promozione, caccia e pesca Michele Dallapiccola, quindi la consegna dei riconoscimenti al personale che ha lasciato il servizio per raggiunti limiti di età, e delle onorificenze per meriti speciali ai forestali che si sono particolarmente distinti nel corso degli ultimi dodici mesi.
Momenti centrali della cerimonia l’approfondimento tecnico dedicato ad un tema specifico e la relazione del capo del CFT Romano Masè. Il tema della giornata, sviluppato dal dirigente del Servizio Foreste e fauna Maurizio Zanin e da Giovanni Giovannini, ha riguardato le attività sostenute con il PSR a supporto dell’alpeggio e della valorizzazione ambientale delle malghe. “Valorizzare le malghe e l’alpeggio – ha spiegato Zanin – significa valorizzare lo stesso ambiente alpino, di cui le malghe sono parte integrante”.
Il Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Provincia autonoma di Trento prevede alcune specifiche misure di sostegno, quali gli interventi per la distribuzione dell’acqua (pozze, abbeveratoi, canali), le recinzioni in legno a corredo dell’ambiente alpino e dell’alpeggio, il miglioramento dei pascoli delle malghe, fino alla novità della nuova misura contemplata dal PSR relativa alla sostituzione e recupero dei pascoli alberati.
Per dare l’idea del “peso” che queste misure hanno sull’ambiente e sul paesaggio alpestre, basti ricordare i 1500 ettari di habitat alpestre recuperati nella precedente programmazione del PSR e gli oltre 50 chilometri di recinzioni tradizionali in legno realizzate nello stesso periodo 2007-2013. Iniziative che rappresentano un modello di gestione del territorio che ne valorizza, con equilibrio, le sue componenti. A guadagnarne è sicuramente il paesaggio, “core business” del turismo, settore che in Trentino vale 5 milioni di primi ingressi (30 milioni di presenze) e il 10 % del Pil provinciale.
E proprio al binomio paesaggio-turismo ha fatto riferimento anche l’assessore Dallapiccola: “Se il turismo si è sviluppato qui fino alle dimensioni che sappiamo, questo lo dobbiamo innanzitutto al fatto che presentiamo un territorio curato e pulito, a partire dalla piazza del paese fino alla cima della montagna. E questo lo dobbiamo non solo agli agricoltori, ma anche ai forestali e ad uso corretto che sappiamo fare dei fondi europei. La montagna non va musealizzata – ha aggiunto Dallapiccola, citando il ministro Galletti – noi non lo abbiamo mai fatto, mentre abbiamo sempre cercato di “sfruttare” la montagna pensando sempre di dover lasciare ai nostri figli un ambiente migliore di come lo abbiamo trovato”.
Dietro a tutto questo ci sono loro, i forestali, in un ruolo che talvolta li vede controllori magari considerati troppo severi ma che sempre – come ha sostenuto il loro comandante Romano Masè nel suo intervento finale – fanno della loro vicinanza alla comunità il proprio tratto costitutivo e la propria ragion d’essere”.