X

Treviso, morto il poeta Andrea Zanzotto

Nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 Ottobre 1921, Andrea Zanzotto è sempre rimasto intensamente attaccato alla sua terra, allontanandosene di rado: le frequentazioni universitarie, il servizio militare e la successiva partecipazione alla guerra di resistenza, una parentesi di lavoro in Austria ed i pochi viaggi per rispondere agli obblighi del suo lavoro di letterato. 
Se si presenta come apparentemente scarna la biografia, ampia invece è la produzione poetica che assieme ad un mai interrotto lavoro di saggistica ed a qualche prova di narrativa, copre un arco di tempo che va dall’immediato dopoguerra fino ai giorni nostri.
 
Il caso letterario – A sorprendere è innanzitutto l’inossidabile prolificità: i suoi esordi letterari risalgono al finire degli anni Trenta ed il suo ultimo libro è stato pubblicato nel 2001. Nell’arco di questi quasi settant’anni ha scritto e pubblicato decine di opere. È sorprendente questa longevità soprattutto se rapportata alla coerenza tematica che contraddistingue la sua poesia: è costante in lui un lavoro di ricerca e sperimentazione sul linguaggio, pur nella fedeltà ai suoi temi ed ai suoi paesaggi.
 
In una intervista Zanzotto dichiarava a proposito della poesia : «Per quanto mi riguarda ho il sospetto che la poesia non sia affatto scrivere; il poeta non è scrittore nel senso corrente della parola; direi anzi che arriva ad odiare lo scrivere forse perché si sente in qualche modo costretto al suo gesto […] si tratta di scalfire, scalpellare, graffiare la lingua o di sprofondarvi più che di usarla […]. Nella poesia qualcosa è al di là e al di fuori dello scrivere […]. Forse l’autentico grado zero, o il grado infinito della scrittura, è quello che traduce nella poesia, è quello che spaventa attraverso la poesia, anche quando essa può sembrare più connessa alla gioia, alla felicità dello scrivere[…]. E tutto ciò non esclude la compresenza di un meticoloso atteggiamento artigianale, a tempo strapieno.»
 
Sì, ancora la neve
 (Da "La Beltà")
 
Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi… ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l’ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è – il mondo pinoso il mondo nevoso –
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: "siamo un segno senza significato":
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c’è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l’immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
[..]
i pini come stanno, stanno bene?

Detto alla neve: "Non mi abbandonerai mai, vero?" 
E una pinzetta, ora, una graffetta.

(A. Zanzotto)
 

 
Categories: NordEst
Redazione:
Related Post