Il Mart di Rovereto torna ad indagare l’arte del “Ventennio”. Dalle avanguardie futuriste all’architettura razionalista, un grande percorso attraverso uno dei periodi più ricchi della storia dell’arte recente italiana. Mostra antologica ideata da Vittorio Sgarbi che a “Arte e Fascismo” ha dedicato pure il suo ultimo saggio divulgativo
di GianAngelo Pistoia
NordEst – Si avvia alla conclusione – terminerà infatti il prossimo 29 settembre – con un discreto successo di pubblico e di critica la mostra “clou” primaverile/estiva del Mart di Rovereto dedicata a “Arte e Fascismo”, scaturita come al solito da un’idea di Vittorio Sgarbi.
La mostra “Arte e Fascismo” analizza i vari e complessi modi in cui il regime fascista influì sulla produzione figurativa italiana, utilizzando a fini propagandistici i linguaggi dell’arte e dell’architettura. Affondando le sue radici nei decenni antecedenti e spaziando dalle pratiche tradizionali alle arti applicate, la cultura visiva del Ventennio testimonia lo svilupparsi di una varietà di stili senza precedenti. Diversamente da altri regimi, quello fascista non impone un gusto, facendo proprie anche alcune delle tendenze artistiche che si affermano in quel periodo storico. La mancanza di un unico orientamento facilita lo sviluppo di un’eterogenea e dinamica presenza di espressioni e correnti. Accanto al persistere di ricerche di avanguardia legate al Futurismo, si delinea una linea di “ritorno all’ordine”, che confluisce nel movimento del Novecento italiano, creato da Margherita Sarfatti. Il ritorno all’antico, funzionale all’affermazione della tradizione italiana, trova varie declinazioni, dal rinnovato sguardo ai maestri antichi dei protagonisti di Novecento fino a più radicali affermazioni di un’arte di propaganda volta alla costruzione del consenso.
Il modello di una ritrovata armonia tra tradizione e modernità gode del consenso da parte del regime, alla ricerca della definizione di un sistema delle arti organizzato. Uno straordinario apparato di premi, esposizioni pubbliche, convenzioni e mostre permette al regime di intercettare gli artisti più significativi, di sostenerne l’opera e di inglobarli nel più ampio progetto di promozione generale. Attraverso la partecipazione a biennali, quadriennali, mostre sindacali, a concorsi e a commissioni pubbliche gli artisti danno voce all’ideologia, ai temi e ai miti del fascismo.Lo stesso rapporto tra gli artisti e il potere non è definito né unico. Accanto a figure dichiaratamente fasciste, convinte sostenitrici del Duce come Depero e Sironi, si muovono artisti meno ingaggiati, più o meno distanti ma comunque presenti nel ricco panorama italiano. Allo stesso tempo, i nuovi luoghi del potere divengono strumento di affermazione attraverso un linguaggio aperto tanto al classicismo quanto al razionalismo, che coinvolge architettura, scultura e arte murale, rinata sotto l’impulso di una rinnovata volontà celebrativa.
Tra pittura, scultura, documenti e materiali d’archivio, il percorso espositivo si snoda tra 400 opere di artisti e architetti come Mario Sironi, Carlo Carrà, Adolfo Wildt, Arturo Martini, Marino Marini, Massimo Campigli, Achille Funi, Fortunato Depero, Tullio Crali, Thayaht, Renato Bertelli, Renato Guttuso. Provenienti da collezioni pubbliche e private le opere dialogano con alcuni dei grandi capolavori del Mart e con numerosi materiali provenienti dai fondi dell’Archivio del ’900. È Vittorio Sgarbi, presidente del Mart, che illustra in questo video la sinossi della mostra “Arte e Fascismo” da lui ideata e curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari.
Otto sezioni cronologiche e tematiche scandiscono la visita della mostra: “Novecento italiano”, dedicata al grande progetto di sostegno agli artisti e alla cultura di Margherita Sarfatti, intellettuale e curatrice ante litteram; “L’immagine del potere”, sull’iconografia del Duce tra celebrazione del capo e diffusione del mito; “Futurismo. Celebrare l’azione”, l’arte totale della maggiore avanguardia italiana; “Arte monumentale”, l’educazione e la propaganda attraverso la grande arte murale, i mosaici, gli affreschi, i decori, i monumenti; “L’architettura e il rapporto con le arti”, progetti, bozzetti e arte astratta per edifici grandiosi che esaltassero la potenza italiana, “Nuovi miti”, non solo l’eroe e l’atleta, ma anche il lavoratore, la donna, la famiglia, alla ricerca della definizione di un sistema sociale virtuoso; “Il sistema delle arti”, l’organizzazione di un’arte di stato tra mostre, quadriennali, biennali e concorsi; “La caduta della dittatura”, la fine di un’era tra iconoclastia, satira e dramma.
La mostra è accompagnata da un ricco catalogo pubblicato da “L’Erma di Bretschneider” con saggi di alcuni tra i maggiori studiosi del periodo, un’introduzione di Vittorio Sgarbi, i testi delle curatrici della mostra e dei ricercatori dell’Archivio del ‘900 del Mart.
Ha lo stesso titolo della mostra e del catalogo – “Arte e Fascismo” – il più recente libro di Vittorio Sgarbi pubblicato lo scorso 2 luglio dalla casa editrice “La nave di Teseo”. Nella prefazione del saggio il giornalista Pierluigi Battista scrive: «Un ventennio. Vent’anni del Novecento, dalla marcia su Roma nell’ottobre 1922 al drammatico epilogo della seconda guerra mondiale nel 1945, che sono stati giudicati dalla storia come il momento più triste del secolo che abbiamo alle spalle. Gli stessi anni, nell’arte, sono il tempo di “Valori Plastici”, di “Novecento”, del gruppo di artisti che si raccoglie attorno a Margherita Sarfatti. Una tale ricchezza di esperienze, autori, circoli che ha fatto dire a una grande studiosa, Elena Pontiggia, che “gli anni Trenta non sono un decennio, mi fanno pensare a un secolo”. Vittorio Sgarbi segue il filo dell’arte in una storia che inizia prima del Fascismo, che dentro il Ventennio cresce, e dopo il Fascismo viene spazzata via insieme alla naturale condanna del regime. Sgarbi distingue l’espressione artistica dal potere e per questo, a fianco di Morandi, de Chirico, Martini, salva dall’oblio Wildt, Guidi, la grande stagione dell’architettura e della grafica, ma anche Depero, il Futurismo e oltre, fino alla rivelazione di due scultori formidabili mai apparsi all’onore della critica, Biagio Poidimani e Domenico Ponzi. Un crocevia di dimenticanze e di rimozioni ha reso difficile la ricostruzione dello stato dell’arte durante il Fascismo. Ci sono voluti decenni, ma alla fine la verità storica si impone. Per capire chi siamo stati, come siamo stati e a quale storia apparteniamo».